domenica 30 agosto 2009

Il nostro linguaggio personale

Ancora una volta la riflessione sorge da una parte della mia esperienza personale recente: il problema della lingua.

Genesi 11, 1-9

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

Come spesso succede nell'A.T., Dio risulta essere l'agente delle disgrazie degli uomini, mentre nel N.T. impariamo che il peccato stesso condanna l'uomo. L'interpretazione tradizionale aderisce alla tragica fine di quest'opera di orgoglio umano come paradigma di tutti gli atti di orgoglio.
L'unitá degli uomini va perduta, essi si disperdono, e ciascun popolo vive da sé parlando la propria lingua. Giusto?

Ora, questa figura della lingua é particolarmente rilevante alla luce della persona che incarna la Parola di Dio, Gesú. È naturale per l'Uomo circoscrivere col linguaggio il proprio gruppo sociale, si tratti di italiani, pugliesi, etc.: i membri del gruppo si identificano col linguaggio. All'interno di questo gruppo che "parla la nostra lingua" siamo a nostro agio e siamo disposti a fare tanto per i componenti del gruppo. Coloro che, quando davvero intimi, ci spingiamo a chiamare "fratelli".

Mt 5, 43-48

Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.



Il modo di amare del Padre nostro celeste va verso l'unitá. Le lingue, le parole degli uomini, sono i modi di vivere e di amare che tanto hanno di umano e poco di divino. Spesso é perció che non ci si capisce o non ci si unisce. Altrettanto spesso i contenuti o le intenzioni sono diversi tra gli interlocutori.

Eppure, non é strano che il Signore ci chieda di "non essere troppo amici dei nostri amici", per cosí dire? O di odiare i nostri fratelli per amare Lui? Ci viene in aiuto una parabola:

Lc 10, 30-37:

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».

Il Buon Samaritano non toglie nulla ai suoi cari, ma non trascura un uomo che ha evidentemente bisogno di lui, in quel momento. Noi ci poniamo, e imponiamo ad altri, mille criteri per amarli: "io non tollero che ti comporti cosí, con me devi fare pomí, etc", parliamo la nostra lingua. E imponiamo questa grammatica a minuzie della vita. Questo recinto NON é il modo di fare del Signore, che fa splendere il sole sui buoni e sui malvagi.

Forse uno potrebbe dire: mi comporto cosí, affinché quello impari. Ma non sta a noi educare o peggio ricompensare/punire il prossimo, tranne in rari casi.

Un'altra osservazione: le situazioni descritte nelle parabole di Gesú sono spesso scenari di grande dolore umano. Non c'é uno che va da Gesú a piangere perché il capo gli ha risposto male a lavoro. Dio ci ha dato l'intelligenza per risolvere molti problemi. A volte sento il peso del dedicare i miei pensieri e la percezione delle mie colpe all'immediato, al piccolo; invece vorrei essere piú pronto nel fare il Bene, quando serve.

Un'ultima osservazione: Gesú conclude la parabola dicendo:"Va' e fa' anche tu lo stesso". A me succede spesso di bighellonare intorno ad argomentazioni e opinioni, e di nuovo, di non essere pronto. Ma: siate sempre pronti, con la cintura ai fianchi e i sandali ai piedi.

Per concludere, c'é una lingua che tutti gli uomini comprendono? Sí, é la Caritá. Un gesto d'amore non viene misinterpretato in tutto il mondo: é la lingua di Dio, quella che resterá quando tutte saranno passate.

Grazie Signore, per avermi fatto conoscere personalmente il tuo grande Amore nella mia vita e attraverso la Bibbia. A questo grande Amore vorrei dedicare la mia mente, il mio cuore e le mie forze; vorrei tenere i suoi precetti fissi nel mio cuore; ripeterli ai miei figli, parlarne quando sono seduto in casa mia, quando cammino per via, quando mi corico e quando mi alzo. Legarli alla mano come un segno, averli come un pendaglio tra gli occhi scriverli sugli stipiti della casa e sulle mie porte.

Amen

venerdì 21 agosto 2009

L'immagine e l'iscrizione

Mt 22,20-21:
Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a
Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


Gn 1,27:
Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò.


Questo passo del vangelo mi ha sempre fatto un grande effetto.

Gesú dice:'Di chi é questa immagine e l'iscrizione?'; poiché é di Cesare, bisogna restituirgliela. Poi potremmo scrivere un'altra domanda:'E nell'uomo, di chi é l'immagine e la sua iscrizione?' A Dio, é la risposta.

Non amo il sapore civile che spesso i sacerdoti cercano su questo passo: per me la cosa piú accattivante é la rivendicazione sottintesa qui, ma esplicita altrove (2Cor 3,3: È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori.) di come Dio permei il cuore umano. Ciò va oltre il pagare o meno le tasse, argomento sul quale possiamo limitarci a osservare che evaderle certo non ci avvicina al regno dei cieli!
L'ordito di Dio é talmente intrecciato nella nostra trama da esserne a stento distinguibile - "Siamo dei in partecipazione", per dirla con S. Agostino.
Si tratta di tornare a Lui, di rassomigliargli... niente paura, la nostra individualitá non ne sará lesa, perché le facce di Dio sono infinite.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18).
Dopo il Figlio, molti santi ci hanno mostrato il volto di Dio, ciascuno diverso: santi poveri, papi, severi, burloni, piú o meno intelligenti, piú o meno colti. Ciascuno a modo suo.

Quanto é sprecata la ricchezza di ogni singolo cuore umano, quando resta confinato in sé stesso. Che peccato rinunciare a cercare il Bene, diventare cinici, indurirsi, contrarsi nella paura di soffrire ancora, che peccato non essere capaci di ricominciare, di perdonare, di offrire ancora il volto agli schiaffi. Che peccato allontanarsi da Dio e attaccarsi a quel po' di terra che siamo rinunciando al cielo, solo perché sembra così lontano.

Signore, quell'iscrizione... quella profonda, quella che resta anche quando l'immagine sulla moneta non si vede più, incrostata, trascurata... falla bruciare, perchè io senta che c'é. Sei venuto a portare un fuoco, vorresti fosse acceso, ma é spento; riaccendilo. Signore, un tempo ti conoscevo per sentito dire, ma ora ti ho visto con i miei occhi: dona questa esperienza a ciascuno nella sua vita. È un diritto di tutti incontrarti, conoscerti, amarti. Ti prego, Signore, fatti vedere. Cerchi l'uomo, ci domandi:"Dove sei?". Vieni a trovarci quando siamo nascosti. Visitaci quando ci vergognamo.
E porta nella nostra vita l'immagine di te, piano piano, con il paziente lavoro della tua Parola, che monda la nostra anima.
Amen

domenica 16 agosto 2009

Unsere Heimat ist im Himmel

Cos'è la Patria? Il luogo in cui sono nati i nostri padri, dal latino. Il luogo in cui siamo nati e cresciuti, senza dubbio. In tedesco si dice Heimat, e qualunque dizionario tradurrá patria con Heimat. Al piú aggiungeranno parole che significano "luogo di nascita" (Geburtsort), "terra di provenienza" (Herkunftsland), "terra patria" (Vaterland).

Ma se si cerca Heimat su un dizionario monolingue, vi troverete un secondo significato:"Das Land, wo man sich zu Hause fühlt", "La terra in cui ci si sente a casa". E questo tema in Germania, non so bene perchè, è sentito: spesso mi é capitato che mi si chiedesse quale fosse la mia "Heimat" e quale lo sarebbe stata in futuro.


Se mi domando quale sia la mia patria, la risposta è certamente l'Italia. Il luogo in cui sono nato e cresciuto, il luogo dei miei antenati, dei miei cari. Il luogo in cui mi sento a casa. Eppure questo tema solleva sentimenti sempre contrastanti circa il futuro, perché si intreccia con altri quali la professione, la famiglia, etc. etc. Ognuno ha il suo approccio a questo tema: qualcuno si considera privo di patria; qualcuno ritiene che qualunque terra possa essere la sua patria, purché ci passi un tempo ragionevolmente lungo. Qualcuno la sceglie sulla base di fattori razionali, a seconda della qualità della vita, reale o supposta; per altri, é il luogo dove determinate persone si trovano; oppure quello in cui si parla la propria lingua.

Per me credo che la patria sia il luogo delle certezze, delle sicurezze che vengono dall'esperienza, dove posso prevedere cosa accadrá in futuro, capire le persone con uno sguardo, intervenire sulla vita di chi mi circonda, essere libero di essere me stesso, perché l'attuale me stesso si é formato in certi luoghi e con certe usanze, per cui ci é abituato. Il luogo in cui mi sento, in qualche modo, competente. Il luogo di cui ho nostalgia.


Perciò mi ha fatto un notevole effetto, ieri, ascoltare il sacerdote citare Fil 3,20: "Unsere Heimat ist im Himmel", La nostra patria invece è nei cieli (CEI, vecchia versione). Nella versione latina la parola é "municipatus", che significa un'altra cosa ancora: cittadinanza, e cosí traduce l'ultima versione della CEI (2008), in accordo con la Tabor e la traduzione interconfessionale. La parola greca "politeuma" del testo originale ha tre significati: il primo é il piú interessante, e forse il piú vicino all'uso paolino. Si tratta di un sostantivo che indica la comunità di appartenza all'interno di un paese straniero. Il secondo significato, per astrazione, é cittadinanza. Il terzo significato é "scambio sociale tra persone intime".

S. Paolo sta dicendo: la comunità alla quale realmente apparteniamo, in mezzo a questo mondo straniero, in cui noi siamo forestieri e pellegrini, quella a cui partecipiamo per diritto (cittadinanza) in virtù del sacrificio di Cristo che ci fa figli di Dio, quel posto dove ci sentiamo a casa, questo posto é il luogo ove Dio si trova, il cielo.

Si pensi a quanto era importante la patria per S. Paolo, ebreo figlio di ebrei. Gli ebrei hanno una storia da stranieri, sono i campioni dell'emigrazione:


Genesi 12,1: Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.


Fino ad oggi, hanno mantenuto la loro indentità e i loro riti, ovunque siano nel mondo. Loro sono ebrei, prima che statunitensi, tedeschi o italiani.


Questo riconoscimento di identità si applica a noi cristiani, rispetto al cielo. Quella frase mi ha tanto colpito perchè mi sono detto: ecco un'altra cosa da aggiungere alla collezione delle verità cristiane che non credo fino in fondo. Se ci credessi profondamente, come S. Paolo che lo proclama, non baderei al resto, proprio come l'Apostolo dice poco prima, nello stesso capitolo:


Fil 3,7-9 - Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede.


Matteo 8,20: Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».


Eppure, Signore, le mie certezze sono sempre e ancora su questa terra. Vorrei volare con te, e sentirmi a casa ovunque, vorrei avere nostalgia di te e del cielo, invece la nostalgia che provo é quella di un passato pieno di grazia, del benessere e della gioia di essere amato. Ancora tardo ad abbracciare con tutto me stesso la gioia di amare, ancora non comprendo la tua Parola fino in fondo: Se il chicco di grano non muore, resta senza frutto. Signore, ti prego di donare questa libertà a tutti coloro che sono ancorati, come me, alla terra e alle sue certezze: chi spera in ció che già vede?. Solo c'è Speranza, Signore, in ciò che non vediamo e ancora non conosciamo, nella terra che ci hai promesso con la risurrezione di Gesù, nella perfezione che ci mancherà sempre, e alla quale nondimeno aspiriamo, perché Tu hai promesso di completare in noi quel che ci manca. Spero in Te, Signore, spero nella tua potenza che puó tramutare questa mente preda del vecchio e destinata alla nostalgia, nella mente di Cristo. Tu sai tutto, Signore, tu sai che ti amo; ti prego, fa' sì che questi pensieri e queste rivelazioni abbiano un posto nella mia vita, che siano concrete, finalmente attuali, che la mia vita si trasformi insomma in una incarnazione della tua Parola. Amen