domenica 28 marzo 2010

La Pasqua

Ovvero, il passaggio. È Dio che passa, e sceglie i primogeniti dell'Egitto perchè siano mandati a morte, mentre coloro che portano il segno dell'agnello vengono risparmiati.

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: «Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità di Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore! In quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne.
Es 12, 1-14
Dal momento in cui viene istituita, la Pasqua è una festa particolare: è una festa d'azione, e strettamente comunitaria.
Ma che strana! "Mangerete l'agnello coi fianchi cinti e i sandali ai piedi". Come fossero loro a dover "passare", perché la cinta e i sandali sono gli attributi del viaggiatore, di colui che esce di casa. Siate sempre pronti coi fianchi cinti e la lucerna accesa!
Il Signore ci chiede di vivere con attenzione. Di essere pronti al momento del suo passaggio nella nostra vita.
I padri della chiesa hanno visto in questo passo dell'AT la profezia della croce:

Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d'Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita.
Nm 21,6-9
Qui Mosè (il mio eroe!) si incarica di costruire un serpente di bronzo affinchè gli israeliti morsi dal serpente si salvino guardando al monumento.
Ora non so voi come ve l'immaginate, ma se uno mette un serpente di bronzo su un bastone appare più o meno così:

T

simile a una croce, insomma! A parte questa, che può essere una simpatica coincidenza, Gesù stesso dice: quando sarò sollevato da terra attirerò tutto a me. (Gv 12,32)
Chi guarda il monumento del serpente è salvo; chi ha lo sguardo rivolto alla croce è salvo! Ma perché?
Gesù è l'agnello il cui sangue segna la nostra salvezza. Dio ha dato il suo figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 16).
Chi guarda alla croce guarda al figlio di Dio.
Chi ha il figlio di Dio ha la vita, chi non ha il figlio di Dio non ha la vita. (1Gv 5, 12)

Dunque Dio in questa pasqua, e nella pasqua quotidiana, ci domanda: hai la vita? Se hai la Vita, dalla! Quest'acqua diventerà in te sorgente di vita eterna.

Se a questa domanda noi rispondiamo "No", non c'è da aver paura. Dio ci ha già fornito il mezzo per salvarci: guardiamo la croce.
Perchè la croce, perché il sacrificio? Nella croce noi guardiamo il peccato inchiodato, vediamo l'impotenza e la debolezza umana "monumentata". Gesù sulla croce è ridotto all'impotenza, si sente perduto e abbandonato. La croce è uno specchio della nostra malattia, della schiavitù che ci affligge come affliggeva gli israeliti in Egitto.
La salvezza ci giunge attraverso il passaggio (pasqua = passaggio) attraverso la croce. Questo è importante e distintivo del cristianesimo: altre religioni risolvono il problema del dolore con l'eliminazione dello stesso (es. attraverso l'eliminazione dei desideri nel buddismo); il Dio che noi conosciamo ci chiede invece di passarci.
Quando mi capita di soffrire, ecco vedo subito le mie debolezze, la dipendenza dagli altri, dal consenso, dalla comodità, la mancanza di obbedienza alla volontà di Dio, la mancanza di fede. Ciò non ostante mi resta una ripulsa atavica della croce, della sofferenza, dell'affrontare le asperità, che a volte mi fa disperare. E forse la disperazione è peggio del peccato stesso: il peccato ci allontana da Dio, ma non dal suo perdono. Se però disperiamo di essere salvati, allora rifiutiamo pure il suo perdono.
Non è che Dio goda nel vederci soffrire: Monsignor Comastri, nel commentare la frase "Dio mio, perché mi hai abbandonato", rileva un errore apostolico fatto nel passato nel presentare la passione di Cristo come un sacrificio a un Dio assetato di giustizia, che sta in cielo a guardare con le braccia conserte lo scempio del suo Figlio. Egli commenta che proprio in quel momento la Trinità e unita nella redenzione, e non separata, e propone che la frase di Gesù vada intesa non isolata, ma nel contesto da cui è presa, ossia il salmo 21, del quale riporto alcuni versetti che avvalorano l'ipotesi del Monsignore:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».
È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
Egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
E io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!».
Sal 21, 2.7-9.16-20.25.28.30-32

San Bernardo, di fronte allo stesso problema che si è posto Comastri, rispose che non la sofferenza di Cristo piacque al Signore, ma l'obbedienza di Lui, il desiderio tanto grande di fare la volontà di Dio, e non la propria, da farlo obbediente fino alla morte, e alla morte di croce.
Figlio, se ti presenti per servire il Signore,
prepàrati alla tentazione.
Abbi un cuore retto e sii costante,
non ti smarrire nel tempo della seduzione.
Sta' unito a lui senza separartene,
perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni.
Accetta quanto ti capita,
sii paziente nelle vicende dolorose,
perché con il fuoco si prova l'oro,
e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.
Sir 2, 1-5

Ebbene, guardiamo la croce. Gesù passa, è la Pasqua del Signore. Dobbiamo chiedere profondamente al Signore questa luce su di noi. Chiederla con fede. Guardare il crocifisso. Guardarlo negli occhi. Guardare negli occhi un malato, se lo visitiamo. Guardare negli occhi un povero, se gli facciamo l'elemosina. Guardare negli occhi un carcerato, se lo visitiamo. È difficile, non é vero? Io lo trovo difficile. La sofferenza fa paura a tutti. Ci costringe a vedere il nostro tesoro, e allo stesso tempo il nostro limite. Ci costringe a sentire su di noi il peso di un debito di grazia che non potremo mai saldare.
Prepariamoci a questa Pasqua cercando gli occhi di Gesù sulla croce. Se il suo sguardo ci dà serenità, se sentiamo che ci ha dato la vita, comunichiamola. La Pasqua è comunità, è popolo di Dio in cammino.
I nostri talenti sono per Lui. Nient'altro che Dio è degno dei doni che Egli ci ha fatto.


Perché, Signore, questo a volte lo sento, altre volte svanisce? Cosa determina la Fede, cosa la sfiducia? Cosa la Speranza, cosa la disperazione?
Sono bagliori di grazia che penetrano il velo dell'umanità come attraverso squarci. Quanto è umano, fisico, terreno, attira lo sguardo e impedisce di mettere a fuoco il divino. Adesso vediamo come in uno specchio, vagamente; ma un giorno vedremo pienamente e conosceremo completamente, come siamo conosciuti. Cerco certezze, e le cerco nei sensi. Anche le certezze sono una ricchezza che allontana dal Regno di Dio. Le certezze dei sensi nel mio cuore diventano un tesoro, che obnubila il riconoscere la debolezza umana, e là dove c'è forza tu, Dio, non entri. Poichè sei venuto per i malati, non per i sani.
Nella povertà hai scelto di manifestarti, poichè dal nulla hai creato la terra, dai fianchi di una sterile e di una vergine hai tratto Giovanni e Gesù, da un popolo minuto hai tratto la chiesa, dai deboli hai tratto i santi.
Signore ti prego di darmi la forza per questo passaggio, di farmi sentire nel cuore la tua presenza come hai fatto con Gesù, che umanamente si è sentito solo di fronte alla sofferenza e alla morte, e divinamente ha trovato in te il suo conforto, fino a dirti con fiducia: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". A volte penso con desiderio alla tua pace eterna, come forse ci ha pensato anche Gesù quando ti ha chiesto di allontanare da lui il calice dell'umiliazione che lo attendeva; ma ha poi concluso che altra era la tua volontà.
Ti prego, Signore, accendi nel mio cuore la fede che proprio questa è la tua volontà, lasciami vivere con fede questo passaggio e questa pasqua. Amen

sabato 20 marzo 2010

Nozze

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.

1Cor 13, 1-8a


Due amici hanno scelto questo passo e il brano del vangelo sotto riportato per il loro matrimonio - e anche per la loro vita insieme.

Certo, è così: uno può possedere tutto, può raggiungere il più strepitoso successo lavorativo e la massima reputazione - ma senza l'Amore la Vita sarebbe vuota. È proprio una questione concreta. Benchè sia un inno, qui non si parla dell'amore in modo astratto o lirico, ma piuttosto in modo del tutto realistico e "coi piedi per terra". Anche io ho sperimentato come la forza d'animo, che uno magari attribuisce al carattere e alla formazione di una persona, dipenda in realtà da questa (e altre...) sicurezza:

"Accanto a me c'è una persona che mi ama, che mi aspetta, che divide la sua Vita con me".

L'Amore si compiace della verità

E questo contraddice quanto si dice dell'amore, che accechi: anzi, l'Amore dona la vista; io gioisco dell'altro per come egli/ella è. Non dobbiamo ingannarci l'un l'altro. Non mi costruisco dell'altro alcuna immagine a cui questi debba corrispondere, bensì mi lascio sorprendere, e persino mettere in discussione dal partner - dai suoi pregi e dai suoi difetti.

Tutto spera l'Amore

L'Amore non giunge mai a compimento. Non dobbiamo prometterci il Paradiso in terra l'un l'altro! È anche possibile lasciare alcuni desideri in attesa di essere esauditi! Il matrimonio è una spedizione esplorativa dell'altro che dura tutta la vita; non solo dell'altro, ma anche di sè stessi. Questa missione è compiuta solo alla fine della nostra vita, al cospetto di Dio.

La carità non avrà mai fine.

Dinanzi a questa affermazione c'è da esitare. L'amore umano, infatti, può finire, è limitato. Ma è proprio con questa affermazione che giungiamo al vero fondamento del matrimonio cristiano.
È l'Amore di Dio che non vedrà mai fine, un amore sconfinato che Dio serba per noi. L'anello che gli sposi si infilano, e che in effetti non ha principio nè fine, simbolizza innanzitutto l'Amore di Dio e la promessa di amarsi.

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Gv 15, 1-3.5-10.12-17

Qui si tocca l'esperienza che gli sposi hanno sperimentato a modo loro: non una decisione autonoma conduce l'uno all'altro; allo stesso modo, non è una scelta autonoma quella che conduce uno alla fede - è una sorta di scelta: uno viene scelto, guidato, chiamato. Allo stesso modo gli sposi si sono cercati l'un l'altro nel corso del loro cammino - e in questo hanno pure sperimentato la guida e la "scelta", per così dire, di Dio.

Una volta ero a Berlino, per andare il giorno successivo a una conferenza lí vicino. Ho dormito in una stanza messa a disposizione da una parrocchia protestante, il cui sacerdote é il padre di un mio amico (come appunto puó succedere... ;)).

Ho pregato su questo passo di Giovanni, che racchiude una vera e propria summa della vita cristiana. La Parola é lo strumento con cui il vignaiolo forgia lo spirito a immagine e somiglianza di Dio (siete mondi per la parola che vi ho annunziato; la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Eb 4, 12); la Caritá é ció che ci mantiene nell'amore di Dio (seguire i miei comandamenti = amatevi gli uni gli altri). La Fede é concessa a coloro che restano nell'amore di Dio (se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete ció che volete e vi sará dato). Questo per me è molto significativo: non è che Dio esaudisce i desideri di chi ha Fede. Se così fosse di fatto farebbe preferenze. Dio dà la Fede a chi lo cerca, tramite la preghiera e l'ascolto della Parola. Poi con la Fede si possono fare molte cose ma la principale non sono i miracoli, e non è - secondo me - morire per Dio.
Per qualunque ideale si può morire e subire torture orribili, come tanti eroi nella storia hanno fatto. Ma la Fede dà piuttosto il coraggio di vivere. E questo è molto speciale.

Soprattutto questo si esplica nella risposta alla chiamata di Dio, la vocazione matrimoniale o sacerdotale. La vocazione non è una gara di resistenza, ma il mattone che mettiamo nella Storia della Salvezza nel tentativo di costruire il migliore dei mondi possibili. È l'abito tagliato su misura per le nostre capacità d'amare.


Signore, ti prego con fiducia per gli amici che oggi hai unito in matrimonio, perché possano vivere la tua chiamata in tutta la sua grandezza, profondità, altezza e intensità. Perché non sentano mai di possedere questa scelta, ma ricordino sempre che tu li hai uniti e che nessuno li separerà mai. Perché ricordino che è stata una scelta fatta per te, con te e in te. Perché rimangano, e rimaniamo tutti nel tuo amore. Perché io e mia moglie, che condividiamo la stessa vocazione, possiamo insieme a loro essere una comunità unita nel tuo nome, in grado di renderti visibile al mondo, in grado di incarnare di nuovo l'unione sponsale tra te e l'umanità, come già è stato nel corpo e nel sangue di Cristo.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra. Amen

venerdì 12 marzo 2010

Perchè voglio annunciare il vangelo?

Gesù, perchè voglio evangelizzare, annunciare la Buona Novella del Regno?
Perché voglio dedicare tutta la mia vita a diffondere il tuo Vangelo fino ai confini della Terra?
Perché voglio predicare il Vangelo di Gesù di Nazareth e consacrare me stesso alla preghiera e al Ministero della Parola?
Perché evangelizzare e a che pro?

Perché io voglio
portare il lieto annunzio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri... (Is 61, 1) Così che i ciechi ricuperino la vista, gli storpi camminino, i lebbrosi siano guariti, i sordi riacquistino l'udito, i morti risuscitino, ai poveri sia predicata la buona novella... (Mt 11,5)

Perché desidero cambiare l'odio in amore, la tristezza in gioia, l'angoscia e la disperazione in ottimismo e speranza, la malattia e la morte in vita e resurrezione. Perché sono ansioso di vedere la luce sorgere sui visi adombrati, e sui tanto numerosi cuori afflitti che giacciono all'ombra della morte. Perché voglio dare una direzione e un significato alle tante vite paralizzate, vite annoiate, in letargo, piene di dubbi e di sospetti, vuote e rotte da complessi disabilitanti.
Perché vedo il bisogno urgente che il Vangelo raggiunga i confini della terra; per rompere le catene degli schiavi, rotti e oppressi da mancanza di cultura, fede, persino cibo e riparo.

Io voglio iniettare il mio stesso sangue in quelli che, in questo delirio, rinunciano alla vita e si seppelliscono vivi con le loro stesse mani. E gridare a tutti loro con la voce potente del Vangelo: "Alzati e cammina [vivi]!"
Sento una passione di dare il Vangelo, vivo e crudo, ai giovani inquieti e ribelli, i quali, insoddisfatti e non disposti a conformarsi, protestano contro ogni cosa. Voglio dar loro la spada della Verità come loro difesa e corazza. E a quelli tra loro che rinunciano alla vita voglio gridare con la voce potente del Vangelo:"Giovane, alzati!". Un bel paesaggio è pronto per nascere, orizzonti radianti luce e speranza, nuovi cieli e nuova terra, non appena la Buona Novella avrà raggiunto questi giovani e informato le loro vite.

Io credo sinceramente che non sia nè una fantasia nè una riflessione distante, dal momento che vedo i campi maturi per il raccolto.
Perché evangelizzare?

Perché desidero che le famiglie godano il calore di una casa piena d'amore, piuttosto che l'atmosfera da cimitero, priva ormai finanche delle braci morenti di un amore creativo e fruttifero, di intimità, affetto, cura reciproca, spontaneità e gioia.
Non posso smettere di proclamare la Buona Novella della liberazione, per salvare le vite di milioni di bambini che vedo distrutte e annullate non appena vedono la luce o addirittura mentre ancora giacciono nel grembo materno.
Sono obbligato ad annunciare la Buona Novella del Regno di Dio, Regno di pace e giustizia, Regno di vita e amore, a fermare la guerra senza tregua tra razze e nazioni, i dolorosi conflitti tra figli e genitori.
Allora, i loro figli saranno come virgulti d'ulivo intorno alla loro mensa, e i loro cuori traboccherano di maggior gioia di quando abbondano vino e frumento. Sento il bisogno di dare la mia vita e versare il mio sangue per tutte le persone allo stesso modo, senza distinzioni di sesso, razza e ceto sociale.


Gesù, soltanto il tuo Vangelo possiede la forza e il potere necessari a trasformare la miseria che oggi corrompe questi ambienti nell'energia che genera vita abbondante. Io so che col Vangelo la luce del giorno penetrerà in molte casa in precedenza buie.

Ecco perché posso affermare, senza tema di presunzione, o che si tratti di una teoria astratta e irragionevole, che evangelizzare è per me un dovere e un diritto, una gioia e una dedizione completa e ormai irreversibile, poichè mi sarebbe impossibile lasciarla: sarebbe per me come rinunciare a vivere e rinunciare al fatto che i miei fratelli e le mie sorelle possano avere vita e averla pienamente.
Accompagnami, Maria, con il tuo più tenero, materno amore, così che la mia consacrazione alla Parola di Dio vivente e il mio predicarla sia una continua propagazione della Vita di Dio per tutte le generazioni.
Amen

Padre Jaime Bonet, fondatore della Fraternità Missionaria Verbum Dei



WHY DO I WANT TO EVANGELISE?

Jesus, why do I want to evangelise, to announce the Good News of the Kingdom? Why do I want to dedicate the whole of my life to spread your Gospel to the ends of the earth? Why do I want to preach the Gospel of Jesus of Nazareth and consecrate myself to prayer and the Ministry of the Word?

Why evangelise, and for what?

Because I want to “...to bring the news to the afflicted, to soothe the broken-hearted,to proclaim liberty to captives, release to those in prison...” (Is 61:1-2). So that “the blind see again, and the lame walk,those suffering from virulent skin-diseases are cleansed, and the deaf hear, the dead are raised to lifeand the good news is proclaimed to the poor...” (Mt 11:4-6).

Because I long to change hate into love, sadness into joy, anguish and despair into optimism and hope, sickness and death into life and resurrection. Because I am eager to see light dawn on gloomy faces, and into so many mournful hearts that lie in the shadow of death. Because I want to give direction and meaning to so many paralysed lives, lives that are bored and lethargic, with doubts and suspicions, empty and broken by disabling complexes.

Because I see the urgent need for the Gospel to reach to the ends of the earth; to break the chains of those enslaved, crushed and oppressed by lack of culture, faith, even food and shelter. I want to inject with my own blood those who, in this delirium, renounce life and bury themselves alive.

And shout to them all with the powerful voice of the Gospel “Get up and live!” I feel a passion to give the Gospel, alive and raw, to restless and rebellious young people who, dissatisfied and unconforming, protest against everything. I want to give them the sword of the Truth as their defence and armour.


And to those of them, who renounce on life I want to shout with the powerful voice of the Gospel “Young person, get up!”

A beautiful landscape is ready to be born, horizons radiant with light and hope, a new heaven and a new earth,
when the Good News reaches this youth and informs their lives.

I sincerely believe that it is not a fantasy nor a distant contemplation seeing the fields ripen for the harvest.
Why evangelise?

Because I long for families to enjoy the warmth of a loving home, instead of the atmosphere almost of a cemetery, without even the embers of a fruitful and creative love, intimacy, affection, care, spontaneity and joy.

I can't stop proclaiming the Good News of liberation in order to save the lives of millions of children whose lives I see broken and disintegrated as soon as they open their eyes to the light or even in the very womb of their mothers.
I am compelled to announce the Good News of the Kingdom of God,
Kingdom of peace and justice, Kingdom of life and love, to stop the relentless war between nations and races, the painful conflicts between children and parents. Then, their children would be like “new olive shoots around their table” (Ps 128:3), and their hearts would “overflow with more joy than for abundant corn and new wine” (Ps 4:8).
I feel the need to give my life and pour out my blood for all people equally, regardless of sex, race and social condition.

Jesus, only your Gospel possesses the strength and power necessary to transform the misery that today corrupts these environments into the energy which generates abundant life. I know that with the Gospel the light of day will penetrate many homes which were in darkness.


That's why I can say, without any fear of being pretentious
or of it being an abstract or unreasonable theory, that evangelising is for me a duty and a right, a joy and a complete and now irreversible dedication, as impossible for me to leave, as it would be for me to renounce living and renounce the fact that my brothers and sisters may have life and have it to the full.

Accompany me, Mary, with your most tender, motherly love, so that my consecration to the living Word of God and my preaching of it may be a continual propagation of God’s Life for all generations.

Amen
by Fr. Jaime Bonet, founder of Verbum Dei Missionary Fraternity




venerdì 5 marzo 2010

Lavorare per il Bene

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
Mt 20, 1-16

È il padrone a uscire nella vigna e a cercarli, dá loro un lavoro e una ricompensa; alla fine della giornata dispone del suo come vuole, ma i primi si lamentano, implicitamente affermando:"Siamo piú fessi degli altri noi? Potevamo stare anche noi con le mani in mano!", e osservano con particolare risentimento ció che hanno subito per servire il Signore.
Anche qui, come nel figlio maggiore della parabola del padre misericordioso, si tratta di gerarchie umane, di voler di più, di voler essere più bravi degli altri. La conquista del paradiso a costo del sacrificio! Una cosa che molto ha di umano e poco di divino.
Non vedono, cioé, che loro hanno beneficiato di una giornata produttiva - Gv 15,5 Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla - ed é lí il surplus della ricompensa. Nella mia limitata esperienza, ho avuto un periodo, dopo la laurea, nel quale non facevo niente se non mandare curricula rigorosamente durante le ore notturne. È stato brutto stare senza far nulla, sentivo l'inutilitá schiacciarmi minuto per minuto, e non é un caso che fossi sempre fuori e mi rintanassi nelle ore notturne per le mie attivitá. Non é certo un grande spasso, quello degli operai ritardatari! Noi abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di avere il Signore vicino, a portata di mano. Così era in particolare per gli israeliti: non bisogna dimenticare che Gesù parla al popolo eletto, che si considerava superiore a quello dei Gentili. Sono gli israeliti quelli che lavorano dalla prima ora. Ma Gesù viene per estendere l'annuncio anche al resto del mondo. E chi Lo ascolterà sarà salvato nè più nè meno degli ebrei. Mi anche colpito questa strana frase: "Sei invidioso [il tuo occhio é cattivo] perché sono buono?" Che vorrebbe dire? Sembra che l'operaio invidi il padrone perché egli non é buono altrettanto. Ma davvero la gente desidera essere buona e invidia coloro che sono buoni? Questi operai pensano che il Signore non giudichi rettamente. Il loro sentimento umano di giustizia è offeso, perché chi dà di più deve avere di più, nel loro sistema. Proprio come il figlio maggiore: una giustizia fatta a scale, in cui si vince e si perde. La giustizia che noi applichiamo alla competizione per i posti di lavoro. Ma la giustizia divina è davvero simile a questa nostra giustizia? Prima di cercare la risposta, osserviamo che nei versetti seguenti del brano di Matteo, Gesù puntualizza che è necessario servirsi gli uni gli altri; prendiamo questi diversi elementi e indaghiamo un po'!

Di' loro: Com'è vero ch'io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o Israeliti? Figlio dell'uomo, di' ancora ai figli del tuo popolo: La giustizia del giusto non lo salva se pecca, e l'empio non cade per la sua iniquità se desiste dall'iniquità, come il giusto non potrà vivere per la sua giustizia se pecca.
Ez 33, 11s.

Qui Dio contraddice non una, ma due volte la giustizia umana!
Voi che ne dite? Chiamate l'imbianchino a casa, quello viene alle 8 del mattino. Alle 12 ha fatto solo una parete, e quando se ne va ha finito una stanza, ma voi volevate tutta la casa! Che fate? Ne chiamate un altro! Quello non è buono!
Quello del giorno dopo viene alle 8, finisce tutto il lavoro alle 14 e poi si mette a bere e ruttare. Che ne pensate? Penserete:"Non è un gentiluomo, ma il suo mestiere lo sa fare!"
Ma il Signore ragiona diversamente: il Signore si accontenta che il primo operaio almeno a un certo punto si convinca a lavorare, e del risultato non gli importa; il secondo operaio invece lo rimprovera perché ha smesso di lavorare.
Perché al Signore non importa il prodotto finale della nostra vita, come se noi dovessimo fare a lui un servizio: il Signore non ricava nulla dal nostro fare il bene!
Ma insomma, perché il buon lavoratore deve essere penalizzato? Cioè, se io vivo abbastanza bene, alla fine vado in paradiso, no?


Se io dico al giusto: Vivrai, ed egli, confidando sulla sua giustizia commette l'iniquità, nessuna delle sue azioni buone sarà più ricordata e morirà nella malvagità che egli ha commesso. Se dico all'empio: Morirai, ed egli desiste dalla sua iniquità e compie ciò che è retto e giusto, rende il pegno, restituisce ciò che ha rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e non morirà; nessuno dei peccati che ha commessi sarà più ricordato: egli ha praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà. Eppure, i figli del tuo popolo vanno dicendo: Il modo di agire del Signore non è retto. È invece il loro modo di agire che non è retto!
Ez 33, 13-17

Visto? Già al tempo di Ezechiele emergeva questa differenza tra la giustizia di Dio e quella umana. L'argomento è cristallino: quelli accusano me, dice il Signore, quando il problema stesso si pone solo per il fatto che il giusto a un certo punto debba smettere e cominciare a fare il male.

Questo modo di ragionare del Signore è più simile a quello di un insegnante.
Se assegniamo un esercizio a un ragazzo, non è che a noi cambia niente averlo risolto oppure no. L'esercizio serve a lui per imparare. Che lo risolva in un quarto d'ora o in due ore, a noi importa solo che alla fine abbia capito come si svolge.
Perché a noi sta a cuore la formazione del ragazzo, non una produttività dell'esercizio.
A Dio importa che noi impariamo ad amare. Non è che siccome io mia moglie l'ho trattata bene fino a ieri oggi la prendo a schiaffi! Il risultato che Dio vuol ottenere somiglia a queste due cose, che in ultimo coincidono: l'amore e la vita. Mica per aver mangiato a sufficienza in passato oggi smettiamo di mangiare. Bisogna alimentarla la vita, pure quella eterna!


Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
Mt 5, 20-24

Ecco di nuovo il discorso giustizia umana/divina. Gesù aggiunge un fatto: bisogna andar dietro al fratello, dargli occasione di diventare giusto. Anche qui Gesù completa la predicazione di Ezechiele:


Se io dico all'empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo.

Ez 33, 8s

Caino diceva di non essere il custode di suo fratello, è invece è proprio così! È bello che il Signore abbia detto: "se tuo fratello ha qualcosa contro di te". Non perchè noi abbiamo qualcosa contro il fratello. Se un altro ce l'ha con noi, siamo noi a doverlo cercare. Perché noi VOGLIAMO IL BENE!

Signore mio,
quest'oggi mi sono lasciato sorprendere dalla tua parola. Avevo iniziato a pregare con diffidenza, non che mi andasse tanto. Ma quanta è bella la tua Parola! È una fonte di gioia continua, senza posa.
Signore, quest'oggi ho scoperto che tu non vai in cerca di un risultato, come se noi dovessimo compiere un lavoro per te, in base al quale ci premi. È diverso da quanto accade per gli articoli scientifici. Cioè non è che noi facciamo un servizio a te a fare il bene: facciamo un servizio a noi. Questo servizio, fatto per te, ti mette in luce, questo sì, dà gloria al tuo nome. Ma non è per un risultato. Non c'è una soglia, un "abbastanza" da raggiungere: conta la ricerca!
Ma questo Signore, è proprio quello che io vorrei dal mio lavoro: farlo per me, per il piacere della ricerca, senza la pressione del produrre: ma allora tu mi vuoi felice per davvero! Quanta commozione ho provato nell'udire: "ma perchè vuoi morire, Isarele"? Ma insomma, perché non vogliamo fare il bene? Ma in fondo che ci costa? Non é per noi un guadagno, fare il bene? E non lo è per ciascuno? Perciò dobbiamo pure annunciarlo!
Signore, sono stravolto da questa scoperta. Perché é una cosa che non si ferma mai, é il respiro dell'infinito! Ma veramente attendo la tua parola come le sentinelle l'aurora! Cosa mi dirai domani? Come ancora cambierai la mia vita? E perché mi decido sempre tardi a prestarti orecchio? Ma in te, Signore, è la misericordia. Redimi la mia vita, oggi, nel presente, prepara la mia ricerca di domani. Quanto mi appassiona la tua Parola, Signore!
Ti ringrazio tanto per aver colpito la mia aridità con questo zampillo d'acqua pulita! Sei troppo bello!
Ti rivolgo le parole di questo bel salmo:

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono:
e avremo il tuo timore.
Io spero nel Signore,
l'anima mia spera nella sua parola.
L'anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l'aurora.
Israele attenda il Signore,
perché presso il Signore è la misericordia
e grande presso di lui la redenzione.
Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.


Sal 129