venerdì 1 aprile 2011

Il Signore è in mezzo a noi sì o no?

In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà».
Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».

Es 17, 3.5-7


Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».

Gv 4, 7-14



La prima volta che ascoltai questo vangelo era il Giugno del 2002, e fu il principio della mia conversione.

Da allora, ogni volta che lo riascolto sono portato a guardarmi indietro e osservare la strada che ho fatto, dal punto di vista spirituale. Non molta, tutto sommato. Ma molto varia. Perció anche oggi vorrei portare avanti questo esercizio quaresimale di ri-raccontare la mia esperienza attraverso le scritture.


Il popolo è arido, assetato, non ce la fa più. Nella chiave di lettura fornita dal vangelo, la sete è l'aspirazione all'Amore infinito di Dio iscritta nel cuore dell'uomo. Ebbene, spesso ci capita di perdere l'entusiasmo, di smettere di pregare. A volte cerchiamo un peccato che pesa sulla nostra coscienza per comprendere quanto ci accade. Oppure una condizione di vita che non favorisce la grazia. Per me, molto più semplicemente, questa sete, questa insoddisfazione, è sempre in agguato; solo che qualche volta riusciamo a placarla - col successo sul lavoro e nella società, spendendo un po' per divertirci, conquistando le attenzioni di una bella donna - e ci sentiamo di nuovo fighi, e meritevoli di felicità. Ma avremo di nuovo sete. E non ce ne accorgeremo fino a quando le circostanze non cambieranno.

E così il dolore, le sconfitte meritate e non, oppure situazioni di nostalgia, la mancata stima dei colleghi, la monotonia della vita o la mancanza di prospettive professionali, di volta in volta, mettono a nudo l'amarezza della nostra illusoria autosufficienza.

A quel punto mi chiedo:"Chi me lo ha fatto fare?" - quello che si chiedono gli israeliti. E può valere per qualunque scelta, qualunque scelta abbiamo fatto. Chi mi ha costretto a emigrare? A restare in patria? A sposarmi? A rinunciare al matrimonio? A laurearmi troppo tardi? A laurearmi troppo in fretta?

E il fatto è che nessuno ci ha costretto. Ma chi beve di quest'acqua avrà di nuovo sete. "L'Imitazione di Cristo", libro scritto vari secoli or sono, ne è ben a conoscenza. E raccomanda, anche nell'aridità, di cercare Dio con insistenza.


Mosè non ha scelto lui la sua missione. Gliela ha affidata Dio. Quella di Mosè è la situazione del pastore di anime, o del genitore, che devono fare i conti con l'insoddisfazione degli altri. E prima della lamentela del popolo, è un fallimento personale. Un dolore di fronte al quale Mosè non sa che fare. Ci sono due aspetti del dolore che lo rendono così potente. Uno è la solitudine. Chi soffre è sempre piuttosto solo: nessuno può capirmi, etc. Il fatto è che di solito gli altri possono fare ben poco per noi. Il secondo è la disperazione. Pensare che le cose non cambieranno. E a volte questo sentimento è acuito da quanti, intorno a noi, ci accusano del nostro insuccesso, del non fare abbastanza. È la situazione in cui si è trovato Giobbe (è fantastico, il libro di Giobbe: un po' noioso nel mezzo, ma assolutamente magistrale). A Giobbe tocca ogni disgrazia e i suoi 3 migliori amici vanno da lui per confortalo e cercano di convincerlo che le sue disgrazie derivano dall'aver peccato - la dottrina più in voga all'epoca. Uno soffre, e gli amici lo rintuzzano. Siamo fatti così.


In entrambe le posizioni la risposta di Gesù è: "L'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna!". Insomma, la risposta è rivolgersi a Dio.

Nel momento in cui ci sentiamo aridi, e una situazione ci pesa, non ci riesce facile: quante volte abbiamo ricevuto tali inviti, e cosa è cambiato davvero?

Questo lo lasceremo giudicare a Dio, che ha più misericordia di noi; ma io credo che l'aspetto su cui lavorare sia il modo in cui facciamo le nostre scelte. Ad esempio, se io mi sono sposato per Dio, e con la vocazione matrimoniale nel cuore, nel giorno dello sconforto e della tentazione, mi rivolgerò a Dio. Una scelta fatta con Dio ci porta in qualche modo a rivolgerci a lui. A non dimenticare quei valori che abbiamo amato e in cui abbiamo creduto: la Fedeltà, l'Amore, la Famiglia.

Più difficile è rivolgermi a Dio se mi sento tradito dal mio impiego. Perché magari Dio non c'entrò molto, quando lo scelsi. Qualunque cosa accada: perché lo avremo fatto per Lui, con Lui e in Lui.


Insomma, coraggio. Anche se ci sentiamo aridi, dimenticati da Dio, non perdiamo fiducia in Lui, che sa di cosa abbiamo bisogno. Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?



Signore, vorrei ringraziarti per avermi consentito, in questa stagione di deserto, di riconoscere la natura della mia sete e dall'acqua che ho cercato. La Verità vi renderà liberi. Desidero nel mio futuro fondare la mia casa sulla roccia del tuo Amore: fa' che non prenda più decisioni da solo, e che non giudichi me stesso e gli altri. Tu che hai creato il tuo servo hai la forza di sostenerlo. Io spero nella tua Parola, Signore. Amen

venerdì 25 marzo 2011

Essere stranieri

Il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria
e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò.

Gn 12, 1



soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia.

2Tm 1, 8b-9a



Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».

Mt 27, 1-4



Tre brani biblici, tre impressioni dell'attività di Dio nella nostra vita. Sarebbe facile dilungarsi sul valore di questi temi, da un lato iscritti profondamente nella natura umana, dall'altro espressioni efficaci dell'amore di Dio; ma più giusto ed efficace sarà parlarne nel contesto in cui sono state concepite e armonizzate: l'esperienza personale, attraverso la quale ogni ebreo leggeva la grandezza di Dio.


La terra.

La mia terra è la città di Bari, con il suo Campus, e la Residenza del Levante, le viuzze di ceglie e i viottoli di Ognissanti, la Murgia, difficile definirla meglio. Ciascuno sa cosa significa per se stesso, e l'esperienza all'estero forse ravviva l'affezione alla propria terra.

È questo dunque che Abramo lascia per volere di Dio?

Sì, e molto altro. Abramo parte con una moglie sterile (capitolo precedente) e abbandona parenti, averi e luoghi amati, per sempre. Il trasferimento di Abramo non è un Erasmus, ma una migrazione senza ritorno, che intraprende insieme a un parente - Lot - dal quale a breve si dividerà. Abramo resterà atavicamente solo, unico adoratore di questo Dio che lo strappa alla sua terra con la promessa di grandi ricchezze e una portentosa - quanto impossibile, per la sterilità della moglie - discendenza. Inizierà la sua carriera con una carestia che lo costringerà a fuggire in Egitto, facendo passare sua moglie per sorella affinché gli sia risparmiata la vita, tollerando il di lei concubinato con il faraone. Il che significa, per Abramo, rinunciare alla promessa di Dio di avere una discendenza. Dio poi lo tira fuori di lì, e giù ricchezze, ma subito è coinvolto in una guerra - tutto ciò prima che vi sia la minima avvisaglia che egli avrà effettivamente un figlio.


Adesso, soffermati a considerare questo passo di Abramo. Esci dalla tua terra. Da ciò che conosci, dai tuoi valori, dai tuoi piani e progetti, da quello che pretendi dalla tua vita, da quello che vuoi controllare; e osserva l'obbedienza di Abramo - uomo simbolico, che però umanamente si immiserisce e si rialza, come te e me. Soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa.


Volesse il cielo che questa vocazione fosse chiara, e che noi potessimo vedere che cosa Dio ha preparato per noi! Se egli ordinasse ai suoi angeli di parlarci, e illustrarci come e dove soffriremo per il vangelo, allora non ci inganneremmo, e forse inseguiremmo questa chiamata, e forse usciremmo da questa terra. Che, vedete, non è solo la patria. È il luogo del riposo. Il luogo del noto, dell'amico, le circostanze favorevoli che cerchiamo nella nostra vita. Quel set di aspettative e circostanze che reputiamo ci rendano felici, indipendentemente da Dio.


Come se la tua e la mia felicitá dipendessero unicamente dalle circostanze.


Ignazio di Loyola, nei suoi Esercizi Spirituali, spiega che amare Dio implica non preferire una vita lunga a una breve, la salute alla malattia, la ricchezza alla povertà, la compagnia alla solitudine; ma trattare ogni condizione allo stesso modo, e in questa condizione vivere il Vangelo.

Noi siamo ossessionati da questa costruzione, da questa torre di Babele di circostanze da migliorare, sulle quali lavorare, curricula, salari, amicizie, attività per il tempo libero.


L'hai dimenticato? Hai dimenticato quando Gesù ti condusse in disparte, su un alto monte? Nelle parole di una predicatrice, su una scogliera lontana, nel verde silente, fu trasfigurato davanti a te; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco ti apparvero Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Allora credesti, credemmo, di capire l'ordinamento del mondo, e di vederlo con occhi divini. Ci credemmo capaci di qualunque perdono, reputammo di poter abbandonare ogni cosa per l'unica che valeva la pena. Sembrava che questi caratteri stampati fossero cosa viva, e sembrava che parlassero proprio a noi, in quei giorni, mentre ci attendeva un esame, mentre programmavamo il sabato sera, pareva che il filo diretto con la Legge e i Profeti non si sarebbe mai spezzato. Pensammo che era quella la vita vera. Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia.


Ma non necessariamente a questo isolamento ci chiama Dio. Ci chiama a un amore attivo, inarrestabile. A costo di quella terra, a costo della sofferenza, a costo perfino di quei momenti di grazia benedetta. Abramo continuò a vivere da nomade, in tenda, senza mai entrare in una città. Restò sempre straniero. Dei tre discepoli presenti quella sera, uno morì crocifisso a Roma; uno scrisse un vangelo; dell'altro non so, ma non rimase a conversare con Mosè ed Elia, la sua lettera nel canone rivela uno spirito attivo nella comunitá.



Il Signore ci renda capaci di apprezzare ogni sfaccettatura di questo Servizio che è la nostra vita, e l'avventura dell'essere forestieri, e la sofferenza, e la gioia della grazia. Il suo Spirito ci unisca e ci conduca a una preghiera sincera, a una chiarezza di mente, a un cuore capace di amare con tutte le nostre forze.

Amen.

venerdì 18 marzo 2011

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio?

Benvenuti nella Quaresima. In questi anni ho imparato ad amare questa stagione spirituale, ad attenderla, a salutarla di volta in volta con rinnovato ardore. Un po' perché trovo motivo di pentirmi della lontananza da Dio; un po' perché mi sento chiamato a una maggiore attività, con gli impegni e i cosiddetti "fioretti" che rimarcano la preminenza di Dio nella mia vita. Ed è questo concetto di attività che costituisce il fulcro della preghiera di oggi.

Mi cercano ogni giorno,

bramano di conoscere le mie vie,

come un popolo che pratichi la giustizia

e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio;

mi chiedono giudizi giusti,

bramano la vicinanza di Dio:

"Perché digiunare, se tu non lo vedi,

mortificarci, se tu non lo sai?".

Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari,

angariate tutti i vostri operai.

È forse questo il digiuno che bramo,

il giorno in cui l'uomo si mortifica?

Piegare come un giunco il proprio capo,

usare sacco e cenere per letto,

forse questo vorresti chiamare digiuno

e giorno gradito al Signore?

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:

sciogliere le catene inique,

togliere i legami del giogo,

rimandare liberi gli oppressi

e spezzare ogni giogo?

Allora invocherai e il Signore ti risponderà,

implorerai aiuto ed egli dirà:"Eccomi!"

Se toglierai di mezzo a te l'oppressione,

il puntare il dito e il parlare empio,

se aprirai il tuo cuore all'affamato,

se sazierai l'afflitto di cuore,

allora brillerà fra le tenebre la tua luce,

la tua tenebra sarà come il meriggio.

Is, 58, 2-3.5-6.9-10



La Quaresima ci pone di fronte alla sfida di contenere questa luce, l'Amore di Dio, all'interno di questo nostro corpo, di questa nostra vita. Mentre andiamo a lavoro, mentre subiamo insuccessi, mentre veniamo trattati ingiustamente, mentre siamo soli, nostalgici, assetati di vita, insoddisfatti; soprattutto, mentre pregare ci risulta difficile, mentre Dio pare come una montagna azzurrina, e noi siamo giù, in pianura, cercando il sentiero.


A volte aiuta vedere le cose sotto un'altra prospettiva. Ad esempio, nel lessico di un'altra lingua. Nelle omelie del mese scorso è tornata spesso questa parola: vergeben, Vergebung - perdonare, perdono. "Perdono" dal latino è un po' come dire "gran dono", perché "per-" è un rafforzativo: si pensi alle parole italiane "perfetto", "perdurare", "perorare", tutte di etimo latino. Anche geben in tedesco significa "dare". Ma ver- non è un rafforzativo: piuttosto denota la forza impressa a un atto allo scopo di determinare un cambiamento. Es. verschieben, rimandare (ver- + "spingere"); verändern, modificare (ver- + cambiare); verkraften, prevalere; (kraft significa "forza"); e persino verstehen, mettersi nei panni altrui, dunque capire. Insomma vergeben è dare, ma in modo diverso, impegnativo, imprimere a una relazione una forza tale da cambiarne il corso.


È questa la cifra dell'amore cristiano. L'attività di questo amore. Il perdono cristiano non è un lasciar perdere il torno subito, bensì il superare (appunto verkraften!), con il proprio amore, quel che la natura ci pone dinanzi: la rabbia, l'orgoglio, la vendetta. Amare tua moglie da cristiano significa anticipare i suoi bisogni, capire le sue ansie piuttosto che replicare ai suoi rimbrotti. Come Cristo ha amato la chiesa. Una vita cristiana non può essere una tranquilla vita borghese, fatta di dolcetti al pranzo domenicale e bollettini di beneficienza; deve bensì portare quella scintilla che ha spinto Gesù a non avere un luogo dove posare il capo, a proclamare la liberazione dei prigionieri, un vento dello Spirito insomma che imprime un'impronta nella terra che calpestiamo - qualunque sia la nostra occupazione e condizione di vita.


La Quaresima è proprio il momento ideale per rimettersi in cammino. Da un lato, nell'intraprendere il digiuno come Isaia comanda, ci impegnamo, con un esercizio ascetico, a una revisione di vita. Dall'altro, e questo è il lato dolce di questo momento, ci mettiamo nella condizione di ricevere il perdono - die Vergebung - da parte di Dio stesso, in quanto ci riconosciamo peccatori e cerchiamo attivamente il deserto per incontrare Dio, che parla non nel frastuono dell'incendio, ma nel sussurro del vento leggero. Questa è la mistica della Quaresima: disporci a ricevere la grazia di Dio, che è causa efficiente del cambiamento del nostro cuore e della nostra vita.


Questo è proprio quello che ha fatto Gesù: fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Questa Quaresima è per Gesù il momento che precede un grande passo: l'inizio della vita pubblica. Ed è il momento che succede al battesimo presso il Giordano. Gesù ha ricevuto l'investitura del Padre - questi è il mio figlio diletto: ascoltatelo - e compie un ritiro programmatico per la sua predicazione, nel corso del quale Egli, vero uomo, esemplarmente affronta tentazioni che in verità riguardano ogni uomo, in ogni momento della vita. Sono narrate come un episodio, ma Gesù terrà sempre fede alle scelte che compie nel deserto. A fronte delle esigenze terrene, Egli decide per Dio - non di solo pane... A fronte del potere, della leadership, della ricchezza, Dio è sempre al primo posto - a lui solo presterai culto. La più insidiosa, nel campo spirituale, una falsa mistica, di chi si "affida" a Dio in modo calcolatorio - non tenterai il Signore Dio tuo.


A questo siamo chiamati: ad adorare Dio, più dei nostri obbiettivi professionali, della vita che desideriamo, di una casa di tot mq, di un salario di tot k€.

Queste scelte di Gesù si sono tradotte in modo lampante nella promessa che Dio ha fatto tramite Isaia:

allora brillerà fra le tenebre la tua luce,

la tua tenebra sarà come il meriggio.

e voglia Dio concedere anche a noi, in questa Quaresima, in questi giorni, oggi, la decisione e soprattutto la Grazia per trasformare la nostra vita secondo la Sua volontà.


Signore,

ho imparato ad amare questo deserto, ho imparato a coltivare la speranza di trovarti in esso. Sempre ti domando chiarezza, e di conoscere le tue vie e la tua volontà, eppure quanto lontano sono dalle tue vie persino nei rapporti con coloro che incontro ogni giorno, e quanto la serenità di chi confida nella tua Provvidenza mi è sconosciuta! Ma non è tardi, Padre, per venire e discutere, e se i miei peccati sono come porpora, diventeranno come lana; gusterò e vedrò quanto è buono il Signore; e l'acqua che tu mi darai diventerà in me sorgente di vita eterna. Amen.