venerdì 26 febbraio 2010

Il sacrificio

Un uomo aveva due figli. (Lc 15, 11ss.)

La parabola del figliol prodigo, oggi diffusa con il nome più appropriato di "parabola del Padre misericordioso". Come si può non amarla?
La parabola descrive due atteggiamenti umani e la reazione di Dio a questi. Mettiamoci un po' nei panni di questi personaggi.

Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta.

Il teologo Kenneth Bayley ha condotto per 15 anni un'indagine nell'area mediterranea, includendo la Turchia, il Marocco etc, e domandando a gente di ogni ceto cosa significasse una simile richiesta. Significa che il figlio desidera la morte del padre; ma anche senza tanto livore, il figlio desidera indipendenza dal padre. Per lui questo padre non ha importanza: quello che conta è la grana, per il resto può far senza. Cos'è questo patrimonio che ha Dio, e del quale vogliamo avere la nostra parte?

E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.

Di nuovo è la necessità materiale a spingere il figlio minore a pensare al padre. La distanza che ha creato lo fa sentire indegno di essere considerato suo figlio: insomma, egli si rende conto di essere finito nel fango, se ne accorge. Così noi quando siamo nel fango ce ne accorgiamo, e in fondo disperiamo di aver a che fare di nuovo con Dio: pensiamo che ormai è passata, che i tempi in cui pregavamo non torneranno più. È una questione d'amore. Temiamo il rifiuto e non cerchiamo nemmeno più quel vecchio amico che non sentiamo da tanto.

Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

Pensate un po' Gesù che immagine sceglie! Un padre scomposto, affettuoso, che non ripaga il figlio secondo le azioni di lui, ma secondo l'amore che prova per lui! Pensateci. Se il tuo dipendente si fa i fatti suoi magari lo rimproveri e lo licenzi; il padre invece non vede l'ora che il figlio ritorni!

Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.

Quello che mi piace assai delle storie di Gesù è che sono umane! Sembra di sentire un fatto raccontato da mia sorella! Adesso pensate un attimo: il padre è contento, si fa festa; ma il figlio maggiore non condivide la gioia del padre, si arrabbia. Cominciamo già a sospettare che non sia unito davvero a lui: vivono insieme ma non si capiscono.

Il padre allora uscì a pregarlo. (sic!) Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.

Il figlio maggiore non ragiona così male. Quel figlio non merita alcuna festa. La meriterebbe lui, che si è sacrificato! Ma il Dono di Dio è tale perché non si merita: Se tu conoscessi il Dono di Dio...
Ma allora a che serve comportarsi bene? A conquistarsi il paradiso, no?

No.

Il paradiso non si conquista, non si scala. Lo si vive nel presente, lo si eredita amando. Ama, ed erediterai il paradiso. Il figlio maggiore non ama suo fratello, perché non gli perdona il tradimento; e non ama il padre, perché non gioisce con lui. Il figlio maggiore, come il minore, pensa: io lavoro e lavoro, e alla fine, quando mio padre schiatterà, erediterò la sua fortuna.
Pazzesco, no? Anche a questo figlio non importa del padre! Gli importa del suo patrimonio: uguale a quell'altro!
C'è da osservare che in questo tipo di parabole Gesù si riferisce sempre all'apertura della rivelazione ai gentili. Il figlio maggiore rappresenta il popolo dei giudei, e in particolare il fariseo. Ricorda infatti quel fariseo che si paragona al pubblicano, mettendo in evidenza i peccati di quello. Ma è proprio del demonio accusare i figli di Dio!
Chi si farà accusatore contro gli eletti di Dio? Guardiamoci dal puntare il dito contro gli altri! Lasciamolo fare al Diavolo, che lo fa di mestiere.

Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;

Questa è la Rivelazione: tutto ciò che è mio è tuo. L'eredità del padre è già nelle mani del figlio maggiore! Il capretto poteva prenderlo da sè e gioirne, perchè la festa della vita è vivere in comunione col padre! Non qualcosa di cui possiamo impossessarci indipendentemente da Lui, ma il fatto stesso di vivere amando, questa è la salvezza. Il figlio se ne è privato da sè, non il padre glielo ha impedito.

ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Ed ecco di che si tratta: è la vita quel patrimonio di Dio. Il peccato sta nel volerlo per sè, e allora si perde la Vita, si disperde. Il Dono di Dio è la Vita Eterna. Il figlio minore vorrebbe vivere la sua vita senza significato, ma una vita così è un porcile. Il figlio maggiore la vorrebbe anche lui tutta per sè, e per conquistarla si sacrifica. Ma questo sacrificio non è fatto per amore, e non vale nulla così.
Questa è l'essenza del peccato:

Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto!
Gn 3,1-4

Il serpente dipinge il divieto di Dio come una censura gravosa insopportabile; ma invece il giogo è leggero. Adamo ed Eva però desiderano per sè tutto, e così perdono la vita eterna.
Ma allora a che serve il sacrificio del fratello maggiore? A che serve il digiuno, la penitenza?

Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?».
Is 58, 2ss.

Qui Dio parla al popolo eletto, i giudei, non agli infedeli. Parla a chi lo cerca, a noi insomma.

Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?

Capito? Il digiuno non ha valore di per sè, rinunciare non serve se non per amore! Solo per amore! Allora il digiuno si trasforma in sacrificio, cioè sacrum facere. L'Amore è sacro.

Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.

La tua ferita si rimarginerà presto! Tanti cristiani hanno una vita arida, non hanno nulla di che lamentarsi, ma ancora hanno sete di Dio, ancora sono feriti, ancora soffrono. AMATE! Dice il Signore. Al Signore non importa di vederci mortificati, gli importa invece che sappiamo rinunciare al bene nostro per gli altri. È semplice, no? Come una madre che per allattare il bambino di alza nella notte. Questo è l'amore. Non serve studiare per capirlo.

Il Signore tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e viva.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica.
Dt 30,6.11-14

Questo passo lo commenta S. Paolo stesso:

Mosè infatti descrive la giustizia che viene dalla legge così: L'uomo che la pratica vivrà per essa. Invece la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo significa farne discendere Cristo; oppure: Chi discenderà nell'abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti. Che dice dunque? Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?
Rm 10, 5-11.14-15

Signore, nessuno di noi vorrebbe essere egoista. Abbiamo solo paura, paura di buttarci ed amare con tutto il cuore. Però tu ci capisci, tu sai che reagiamo così perché siamo stati feriti. Non ci piace soffrire, Signore, non piaceva neanche a te nel Getsemani. In fondo, Signore, è perché siamo limitati. Siamo piccoli e poveri, Padre. Abbi misericordia, tu conosci la nostra debolezza! Tu sai quanto è dura aver fede. I nostri occhi sono inondati dalla tua creazione, è difficile prestar fede a ciò che non vediamo.
Perché poi hai scelto di redimere il mondo nel sacrificio? Non c'era un'altra strada?
Ma tu puoi darci questa forza, Signore. Per questo lo Spirito si chiama "Il Consolatore", perché conosci la nostra afflizione. Mandaci questo Consolatore, Padre. Allora potremo godere anche nella tribolazione.
E questa è la tua volontà, Padre, in cielo come in terra. Sia santificato il tuo nome, Signore, nella nostra vita, attravero l'amore, il sacrificio e l'annuncio.
Amen

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