venerdì 18 giugno 2010

Povertà

"Gesù dice che quell'uomo vendette tutto, non per trovare un tesoro, ma perché l'aveva trovato. Non si sceglie la povertà per trovare il Regno, ma perché lo si è trovato. La povertà non è il prezzo da pagare per il Regno; non è la causa della sua venuta, ma ne è l'effetto."

Raniero Cantalamessa, "Povertà"

mercoledì 16 giugno 2010

Valori


"Vorrei gridare prima a me stessa e poi a tutti i fratelli che tutti quelli che umanamente chiamiamo valori non sono altro che vanità di vanità"

Beata Maria Beltrame Quattrocchi

lunedì 24 maggio 2010

L'Eternità in frammenti

La settimana scorsa ho ascoltato la Parola di Dio predicata da un amico, il quale sulla scorta di Gv 14, 27 (vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore) mi invitava a cercare la pace, a prendermi un momento per parlare con il Signore. Bisogna difenderla, questa pace, strapparla alla routine, impossessarsene con determinazione. Solo allora - questo il focus dello spunto - potremo ascendere, per ascoltare la voce di Dio.

Questo pomeriggio ho fatto una passeggiata nel bosco. Ho portato con me questo libro di Raniero Cantalamessa. Il tema del libro è la povertà, e l'ultimo capitolo, che mi apprestavo a leggere, parla della povertà in spirito (Mt 5, 3), spiega cosa questa espressione voglia dire.

I raggi del sole diffondevano attraverso la coltre di rami senza afa, anzi un vento costante rinfrescava l'aria e portava il suono di miriadi di uccellini affaccendati nella primavera tedesca. Ero seduto su una panchina di legno, di fronte a un recinto dove sono allevati dei mufloni. Questi talvolta brucavano placidi, talaltra si rimbrottavano cozzando le corna in modo spettacolare. Di tanto in tanto passava un jogger, un ciclista, o uno che portava a spasso il suo amico a quattro zampe.

Ecco dunque, era questo il momento di pace che avevo scelto per cercare Dio, che non ha mancato di presentarsi! La meditazione che ho letto sulla povertà è stata splendida
Noi siamo tutti protesi in un magnifico sforzo rivolto all'esterno - acquisire, possedere, comprendere, realizzare - guadagnandoci dei beni materiali ed intellettuali. Ad esempio siamo portati ad aggiornarci continuamente, ogni minuto guardiamo se è arrivata nuova posta, e facebook, e il cellullare... informazioni, opere, appuntamenti. Non è questo, però, il modo di conquistare beni spirituali. Dio non si conquista, perché non è fuori, ma dentro di noi - tramite il battesimo. S. Agostino scrive nelle "Confessioni": "Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo." Al contrario, tanto più facile è incontrare Dio, quanto meno ci diamo pensiero per le cose materiali, quanto più siamo liberi da circoli viziosi mentali. Poveri, insomma, in spirito. Il movimento dell'anima che incontra Dio è verso l'interno - e quando ho compreso questo, ho fatto subito una forte esperienza del vangelo delle mie nozze:

Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.
Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Lc 12, 29-34
Quanta serenità ho provato! Quello che più di ogni altra cosa conta, nella nostra vita, e che Cristo è venuto per la nostra salvezza: figli di Dio, siamo chiamati a una vita eterna, per la quale non c'è ansia di riempire un curriculum vitae, di avere un certo numero di pubblicazioni, di avere abbastanza soldi per comprarsi una casa al mare. No. Ho provato un grande senso di libertà: il futuro, nei suoi aspetti professionali, spirituali, materiali, è affidato interamente al Signore, e provo grande gioia nel sapere che egli è al mio fianco come un prode (Gr 20).

Lo sguardo del Signore unisce tra di loro i frammenti di Eternità che vediamo luccicare in mezzo alla sabbia della nostra vita. Frammenti del nostro sè più autentico, in cui avvertiamo l'unità col Signore, momenti che restano nella nostra memoria per sempre. Questi frammenti di Vita Eterna, questi costituiscono il nostro vero io, e non quei frammenti creati dalla simultaneità quotidiana, nella quale sia portati a dividere la nostra vita tra le cose e le occupazioni. In questi momenti noi siamo interi in ogni occupazione (S. Agostino).

Quando mi sono alzato per percorrere la via di casa, nel distendersi in prospettiva della strada nel bosco, ho riunito alcuni di questi frammenti - io bambino nella foresta di Mercadante con mio padre, l'adorazione eucaristica in preparazione della mia cresima, i ritiri del 2005, le preghiere a New York... e ho sorriso, sentendo il calore della grazia del Signore, gioioso e stupito di questo dono. Ero giunto mesto, sono rientrato a testa alta, orgoglioso di essere figlio di Dio.

Grazie, Padre.

domenica 4 aprile 2010

Resurrezione e Speranza

Cristo è risorto! Dunque l'amore di Dio sorpassa la morte, anche quella di ogni giorno, che ha molti nomi: disperazione, tristezza, egoismo, tra i tantissimi. Ma noi abbiamo dalla nostra lo Spirito che ha dato vita a Gesù nel grembo di Maria, lo Spirito che aleggiava sulle acque al principio del mondo, che ha fatto parlare i profeti, mosso i re e resuscitato i morti, lo Spirito che manda avanti la Chiesa e ci permette di essere uniti nella preghiera. Lo stesso Spirito che hanno ricevuto i profeti, i papi e i santi, lo abbiamo desiderato, chiesto e ottenuto nella cresima. Perciò, se abbiamo questo spirito, siamo capaci di quello che ha fatto Gesù e di cose anche più grandi (Gv 7, 31)!

C'é stato un tempo in cui abbiamo creduto di cambiare il mondo, e forse, se cristiani, di poter diventare Santi. Ci speravamo, eravamo pieni di energie. Però è chiaro che la vita quotidiana ci mette di fronte cose che prima non ci aspettavamo: impegni, delusioni, incertezze, esperienza, senso della misura. Abbiamo imparato che se una domenica non si va a messa non casca il mondo; che Dio ci rimette i peccati anche quando non siamo emotivamente presi; che anche l'aridità fa parte della vita spirituale.
È bene che abbiamo imparato tutto questo: siamo divenuti adulti. Ma se abbiamo dimenticato quello che a 20 anni credevamo, abbiamo perso la Speranza, siamo diventati vecchi.

SPERIAMO. Sogniamo il sogno di Dio, non abbandonianoci alla disperazione. Possiamo essere santi, proprio perchè abbiamo imparato che non siamo perfetti, proprio quando siamo stati delusi da noi stessi, da coloro che amiamo, dalla carriera, dal mondo, da tutto ciò che è mortale.

Tutto ciò che è mortale ci deluderà: denaro, amici, sposa persino. Noi riponiamo la nostra speranza in Dio, nostra roccia (Dt 32,4; Sal 72,26; Mt 7,24-27). Dio è l'unico che può mantenere le sue promesse, perchè ha il potere di farlo! Questo è l'unico investimento razionale, il resto passa e lo abbiamo sperimentato. Questa è la verità che vi farà liberi, perchè se non vi aspettate nulla da nessuno se non da Dio non verrete mai delusi.

Perciò se siete preoccupati del futuro, pregate. Non abbiate paura! (Mt 10,28) , Nulla ci separerà dall'amore di Dio! (Rm 8, 31ss) La nostra speranza è ben fondata (Tt, 1,2-3). Dove è il nostro tesoro è anche il nostro cuore (Lc 12,34): quando cerchiamo sicurezza in un lavoro, in una buona sistemazione, in un buon gruppo di amici, in tante cose buone e gradite a Dio, abbiamo perso la speranza. Quando desideriamo essere altrove, quando non ci accontentiamo delle cose terrene ma neppure aspiriamo a quelle celesti, quando la nostalgia pervade il nostro cuore e ci ostacola nell'amore, allora abbiamo smesso di sperare. Quando siamo scettici, quando siamo realisti, quando non crediamo di poter sedere alla mensa di Dio, quando ci siamo rassegnati dinanzi al fornello e al ferro da stiro: fratelli miei, siamo disperati, e non i soldi, non gli amanti, non gli amici, non un partito daranno vigore ai nostri sogni, ma solo Dio.


Signore, io non sono capace di affidarmi a te e di gettare le reti al tuo comando, perché non sono umile: ma spero mio Signore, spero nella tua parola. Spero che un giorno lo sarò, spero che potrò consegnarti il timone della barca, spero che potrò vantarmi delle mie debolezze, spero che potrò arrivare al sangue nella testimonianza di Cristo, spero di non vivere piú io, ma Cristo in me, spero che mi renderai capace di credere meglio, di sperare meglio, di amare meglio. Spero nella ricchezza là dove il ladro non arriva e la tignola non consuma, e l'unico modo di guadagnarla è darla via.
E ti ringrazio, Signore, perchè tolleri la mia disobbedienza e la mia disperazione, perchè ti nascondi al mio sguardo ma non mi perdi mai d'occhio, perchè mi hai amato, perchè tutto quello che ho tu me l'hai donato, e non posso vantarmene.
Sia fatta la tua volontà, Signore.

Amen

domenica 28 marzo 2010

La Pasqua

Ovvero, il passaggio. È Dio che passa, e sceglie i primogeniti dell'Egitto perchè siano mandati a morte, mentre coloro che portano il segno dell'agnello vengono risparmiati.

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: «Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità di Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore! In quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne.
Es 12, 1-14
Dal momento in cui viene istituita, la Pasqua è una festa particolare: è una festa d'azione, e strettamente comunitaria.
Ma che strana! "Mangerete l'agnello coi fianchi cinti e i sandali ai piedi". Come fossero loro a dover "passare", perché la cinta e i sandali sono gli attributi del viaggiatore, di colui che esce di casa. Siate sempre pronti coi fianchi cinti e la lucerna accesa!
Il Signore ci chiede di vivere con attenzione. Di essere pronti al momento del suo passaggio nella nostra vita.
I padri della chiesa hanno visto in questo passo dell'AT la profezia della croce:

Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d'Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita.
Nm 21,6-9
Qui Mosè (il mio eroe!) si incarica di costruire un serpente di bronzo affinchè gli israeliti morsi dal serpente si salvino guardando al monumento.
Ora non so voi come ve l'immaginate, ma se uno mette un serpente di bronzo su un bastone appare più o meno così:

T

simile a una croce, insomma! A parte questa, che può essere una simpatica coincidenza, Gesù stesso dice: quando sarò sollevato da terra attirerò tutto a me. (Gv 12,32)
Chi guarda il monumento del serpente è salvo; chi ha lo sguardo rivolto alla croce è salvo! Ma perché?
Gesù è l'agnello il cui sangue segna la nostra salvezza. Dio ha dato il suo figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 16).
Chi guarda alla croce guarda al figlio di Dio.
Chi ha il figlio di Dio ha la vita, chi non ha il figlio di Dio non ha la vita. (1Gv 5, 12)

Dunque Dio in questa pasqua, e nella pasqua quotidiana, ci domanda: hai la vita? Se hai la Vita, dalla! Quest'acqua diventerà in te sorgente di vita eterna.

Se a questa domanda noi rispondiamo "No", non c'è da aver paura. Dio ci ha già fornito il mezzo per salvarci: guardiamo la croce.
Perchè la croce, perché il sacrificio? Nella croce noi guardiamo il peccato inchiodato, vediamo l'impotenza e la debolezza umana "monumentata". Gesù sulla croce è ridotto all'impotenza, si sente perduto e abbandonato. La croce è uno specchio della nostra malattia, della schiavitù che ci affligge come affliggeva gli israeliti in Egitto.
La salvezza ci giunge attraverso il passaggio (pasqua = passaggio) attraverso la croce. Questo è importante e distintivo del cristianesimo: altre religioni risolvono il problema del dolore con l'eliminazione dello stesso (es. attraverso l'eliminazione dei desideri nel buddismo); il Dio che noi conosciamo ci chiede invece di passarci.
Quando mi capita di soffrire, ecco vedo subito le mie debolezze, la dipendenza dagli altri, dal consenso, dalla comodità, la mancanza di obbedienza alla volontà di Dio, la mancanza di fede. Ciò non ostante mi resta una ripulsa atavica della croce, della sofferenza, dell'affrontare le asperità, che a volte mi fa disperare. E forse la disperazione è peggio del peccato stesso: il peccato ci allontana da Dio, ma non dal suo perdono. Se però disperiamo di essere salvati, allora rifiutiamo pure il suo perdono.
Non è che Dio goda nel vederci soffrire: Monsignor Comastri, nel commentare la frase "Dio mio, perché mi hai abbandonato", rileva un errore apostolico fatto nel passato nel presentare la passione di Cristo come un sacrificio a un Dio assetato di giustizia, che sta in cielo a guardare con le braccia conserte lo scempio del suo Figlio. Egli commenta che proprio in quel momento la Trinità e unita nella redenzione, e non separata, e propone che la frase di Gesù vada intesa non isolata, ma nel contesto da cui è presa, ossia il salmo 21, del quale riporto alcuni versetti che avvalorano l'ipotesi del Monsignore:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».
È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
Egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
E io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!».
Sal 21, 2.7-9.16-20.25.28.30-32

San Bernardo, di fronte allo stesso problema che si è posto Comastri, rispose che non la sofferenza di Cristo piacque al Signore, ma l'obbedienza di Lui, il desiderio tanto grande di fare la volontà di Dio, e non la propria, da farlo obbediente fino alla morte, e alla morte di croce.
Figlio, se ti presenti per servire il Signore,
prepàrati alla tentazione.
Abbi un cuore retto e sii costante,
non ti smarrire nel tempo della seduzione.
Sta' unito a lui senza separartene,
perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni.
Accetta quanto ti capita,
sii paziente nelle vicende dolorose,
perché con il fuoco si prova l'oro,
e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.
Sir 2, 1-5

Ebbene, guardiamo la croce. Gesù passa, è la Pasqua del Signore. Dobbiamo chiedere profondamente al Signore questa luce su di noi. Chiederla con fede. Guardare il crocifisso. Guardarlo negli occhi. Guardare negli occhi un malato, se lo visitiamo. Guardare negli occhi un povero, se gli facciamo l'elemosina. Guardare negli occhi un carcerato, se lo visitiamo. È difficile, non é vero? Io lo trovo difficile. La sofferenza fa paura a tutti. Ci costringe a vedere il nostro tesoro, e allo stesso tempo il nostro limite. Ci costringe a sentire su di noi il peso di un debito di grazia che non potremo mai saldare.
Prepariamoci a questa Pasqua cercando gli occhi di Gesù sulla croce. Se il suo sguardo ci dà serenità, se sentiamo che ci ha dato la vita, comunichiamola. La Pasqua è comunità, è popolo di Dio in cammino.
I nostri talenti sono per Lui. Nient'altro che Dio è degno dei doni che Egli ci ha fatto.


Perché, Signore, questo a volte lo sento, altre volte svanisce? Cosa determina la Fede, cosa la sfiducia? Cosa la Speranza, cosa la disperazione?
Sono bagliori di grazia che penetrano il velo dell'umanità come attraverso squarci. Quanto è umano, fisico, terreno, attira lo sguardo e impedisce di mettere a fuoco il divino. Adesso vediamo come in uno specchio, vagamente; ma un giorno vedremo pienamente e conosceremo completamente, come siamo conosciuti. Cerco certezze, e le cerco nei sensi. Anche le certezze sono una ricchezza che allontana dal Regno di Dio. Le certezze dei sensi nel mio cuore diventano un tesoro, che obnubila il riconoscere la debolezza umana, e là dove c'è forza tu, Dio, non entri. Poichè sei venuto per i malati, non per i sani.
Nella povertà hai scelto di manifestarti, poichè dal nulla hai creato la terra, dai fianchi di una sterile e di una vergine hai tratto Giovanni e Gesù, da un popolo minuto hai tratto la chiesa, dai deboli hai tratto i santi.
Signore ti prego di darmi la forza per questo passaggio, di farmi sentire nel cuore la tua presenza come hai fatto con Gesù, che umanamente si è sentito solo di fronte alla sofferenza e alla morte, e divinamente ha trovato in te il suo conforto, fino a dirti con fiducia: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". A volte penso con desiderio alla tua pace eterna, come forse ci ha pensato anche Gesù quando ti ha chiesto di allontanare da lui il calice dell'umiliazione che lo attendeva; ma ha poi concluso che altra era la tua volontà.
Ti prego, Signore, accendi nel mio cuore la fede che proprio questa è la tua volontà, lasciami vivere con fede questo passaggio e questa pasqua. Amen

sabato 20 marzo 2010

Nozze

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.

1Cor 13, 1-8a


Due amici hanno scelto questo passo e il brano del vangelo sotto riportato per il loro matrimonio - e anche per la loro vita insieme.

Certo, è così: uno può possedere tutto, può raggiungere il più strepitoso successo lavorativo e la massima reputazione - ma senza l'Amore la Vita sarebbe vuota. È proprio una questione concreta. Benchè sia un inno, qui non si parla dell'amore in modo astratto o lirico, ma piuttosto in modo del tutto realistico e "coi piedi per terra". Anche io ho sperimentato come la forza d'animo, che uno magari attribuisce al carattere e alla formazione di una persona, dipenda in realtà da questa (e altre...) sicurezza:

"Accanto a me c'è una persona che mi ama, che mi aspetta, che divide la sua Vita con me".

L'Amore si compiace della verità

E questo contraddice quanto si dice dell'amore, che accechi: anzi, l'Amore dona la vista; io gioisco dell'altro per come egli/ella è. Non dobbiamo ingannarci l'un l'altro. Non mi costruisco dell'altro alcuna immagine a cui questi debba corrispondere, bensì mi lascio sorprendere, e persino mettere in discussione dal partner - dai suoi pregi e dai suoi difetti.

Tutto spera l'Amore

L'Amore non giunge mai a compimento. Non dobbiamo prometterci il Paradiso in terra l'un l'altro! È anche possibile lasciare alcuni desideri in attesa di essere esauditi! Il matrimonio è una spedizione esplorativa dell'altro che dura tutta la vita; non solo dell'altro, ma anche di sè stessi. Questa missione è compiuta solo alla fine della nostra vita, al cospetto di Dio.

La carità non avrà mai fine.

Dinanzi a questa affermazione c'è da esitare. L'amore umano, infatti, può finire, è limitato. Ma è proprio con questa affermazione che giungiamo al vero fondamento del matrimonio cristiano.
È l'Amore di Dio che non vedrà mai fine, un amore sconfinato che Dio serba per noi. L'anello che gli sposi si infilano, e che in effetti non ha principio nè fine, simbolizza innanzitutto l'Amore di Dio e la promessa di amarsi.

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Gv 15, 1-3.5-10.12-17

Qui si tocca l'esperienza che gli sposi hanno sperimentato a modo loro: non una decisione autonoma conduce l'uno all'altro; allo stesso modo, non è una scelta autonoma quella che conduce uno alla fede - è una sorta di scelta: uno viene scelto, guidato, chiamato. Allo stesso modo gli sposi si sono cercati l'un l'altro nel corso del loro cammino - e in questo hanno pure sperimentato la guida e la "scelta", per così dire, di Dio.

Una volta ero a Berlino, per andare il giorno successivo a una conferenza lí vicino. Ho dormito in una stanza messa a disposizione da una parrocchia protestante, il cui sacerdote é il padre di un mio amico (come appunto puó succedere... ;)).

Ho pregato su questo passo di Giovanni, che racchiude una vera e propria summa della vita cristiana. La Parola é lo strumento con cui il vignaiolo forgia lo spirito a immagine e somiglianza di Dio (siete mondi per la parola che vi ho annunziato; la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Eb 4, 12); la Caritá é ció che ci mantiene nell'amore di Dio (seguire i miei comandamenti = amatevi gli uni gli altri). La Fede é concessa a coloro che restano nell'amore di Dio (se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete ció che volete e vi sará dato). Questo per me è molto significativo: non è che Dio esaudisce i desideri di chi ha Fede. Se così fosse di fatto farebbe preferenze. Dio dà la Fede a chi lo cerca, tramite la preghiera e l'ascolto della Parola. Poi con la Fede si possono fare molte cose ma la principale non sono i miracoli, e non è - secondo me - morire per Dio.
Per qualunque ideale si può morire e subire torture orribili, come tanti eroi nella storia hanno fatto. Ma la Fede dà piuttosto il coraggio di vivere. E questo è molto speciale.

Soprattutto questo si esplica nella risposta alla chiamata di Dio, la vocazione matrimoniale o sacerdotale. La vocazione non è una gara di resistenza, ma il mattone che mettiamo nella Storia della Salvezza nel tentativo di costruire il migliore dei mondi possibili. È l'abito tagliato su misura per le nostre capacità d'amare.


Signore, ti prego con fiducia per gli amici che oggi hai unito in matrimonio, perché possano vivere la tua chiamata in tutta la sua grandezza, profondità, altezza e intensità. Perché non sentano mai di possedere questa scelta, ma ricordino sempre che tu li hai uniti e che nessuno li separerà mai. Perché ricordino che è stata una scelta fatta per te, con te e in te. Perché rimangano, e rimaniamo tutti nel tuo amore. Perché io e mia moglie, che condividiamo la stessa vocazione, possiamo insieme a loro essere una comunità unita nel tuo nome, in grado di renderti visibile al mondo, in grado di incarnare di nuovo l'unione sponsale tra te e l'umanità, come già è stato nel corpo e nel sangue di Cristo.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra. Amen

venerdì 12 marzo 2010

Perchè voglio annunciare il vangelo?

Gesù, perchè voglio evangelizzare, annunciare la Buona Novella del Regno?
Perché voglio dedicare tutta la mia vita a diffondere il tuo Vangelo fino ai confini della Terra?
Perché voglio predicare il Vangelo di Gesù di Nazareth e consacrare me stesso alla preghiera e al Ministero della Parola?
Perché evangelizzare e a che pro?

Perché io voglio
portare il lieto annunzio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri... (Is 61, 1) Così che i ciechi ricuperino la vista, gli storpi camminino, i lebbrosi siano guariti, i sordi riacquistino l'udito, i morti risuscitino, ai poveri sia predicata la buona novella... (Mt 11,5)

Perché desidero cambiare l'odio in amore, la tristezza in gioia, l'angoscia e la disperazione in ottimismo e speranza, la malattia e la morte in vita e resurrezione. Perché sono ansioso di vedere la luce sorgere sui visi adombrati, e sui tanto numerosi cuori afflitti che giacciono all'ombra della morte. Perché voglio dare una direzione e un significato alle tante vite paralizzate, vite annoiate, in letargo, piene di dubbi e di sospetti, vuote e rotte da complessi disabilitanti.
Perché vedo il bisogno urgente che il Vangelo raggiunga i confini della terra; per rompere le catene degli schiavi, rotti e oppressi da mancanza di cultura, fede, persino cibo e riparo.

Io voglio iniettare il mio stesso sangue in quelli che, in questo delirio, rinunciano alla vita e si seppelliscono vivi con le loro stesse mani. E gridare a tutti loro con la voce potente del Vangelo: "Alzati e cammina [vivi]!"
Sento una passione di dare il Vangelo, vivo e crudo, ai giovani inquieti e ribelli, i quali, insoddisfatti e non disposti a conformarsi, protestano contro ogni cosa. Voglio dar loro la spada della Verità come loro difesa e corazza. E a quelli tra loro che rinunciano alla vita voglio gridare con la voce potente del Vangelo:"Giovane, alzati!". Un bel paesaggio è pronto per nascere, orizzonti radianti luce e speranza, nuovi cieli e nuova terra, non appena la Buona Novella avrà raggiunto questi giovani e informato le loro vite.

Io credo sinceramente che non sia nè una fantasia nè una riflessione distante, dal momento che vedo i campi maturi per il raccolto.
Perché evangelizzare?

Perché desidero che le famiglie godano il calore di una casa piena d'amore, piuttosto che l'atmosfera da cimitero, priva ormai finanche delle braci morenti di un amore creativo e fruttifero, di intimità, affetto, cura reciproca, spontaneità e gioia.
Non posso smettere di proclamare la Buona Novella della liberazione, per salvare le vite di milioni di bambini che vedo distrutte e annullate non appena vedono la luce o addirittura mentre ancora giacciono nel grembo materno.
Sono obbligato ad annunciare la Buona Novella del Regno di Dio, Regno di pace e giustizia, Regno di vita e amore, a fermare la guerra senza tregua tra razze e nazioni, i dolorosi conflitti tra figli e genitori.
Allora, i loro figli saranno come virgulti d'ulivo intorno alla loro mensa, e i loro cuori traboccherano di maggior gioia di quando abbondano vino e frumento. Sento il bisogno di dare la mia vita e versare il mio sangue per tutte le persone allo stesso modo, senza distinzioni di sesso, razza e ceto sociale.


Gesù, soltanto il tuo Vangelo possiede la forza e il potere necessari a trasformare la miseria che oggi corrompe questi ambienti nell'energia che genera vita abbondante. Io so che col Vangelo la luce del giorno penetrerà in molte casa in precedenza buie.

Ecco perché posso affermare, senza tema di presunzione, o che si tratti di una teoria astratta e irragionevole, che evangelizzare è per me un dovere e un diritto, una gioia e una dedizione completa e ormai irreversibile, poichè mi sarebbe impossibile lasciarla: sarebbe per me come rinunciare a vivere e rinunciare al fatto che i miei fratelli e le mie sorelle possano avere vita e averla pienamente.
Accompagnami, Maria, con il tuo più tenero, materno amore, così che la mia consacrazione alla Parola di Dio vivente e il mio predicarla sia una continua propagazione della Vita di Dio per tutte le generazioni.
Amen

Padre Jaime Bonet, fondatore della Fraternità Missionaria Verbum Dei



WHY DO I WANT TO EVANGELISE?

Jesus, why do I want to evangelise, to announce the Good News of the Kingdom? Why do I want to dedicate the whole of my life to spread your Gospel to the ends of the earth? Why do I want to preach the Gospel of Jesus of Nazareth and consecrate myself to prayer and the Ministry of the Word?

Why evangelise, and for what?

Because I want to “...to bring the news to the afflicted, to soothe the broken-hearted,to proclaim liberty to captives, release to those in prison...” (Is 61:1-2). So that “the blind see again, and the lame walk,those suffering from virulent skin-diseases are cleansed, and the deaf hear, the dead are raised to lifeand the good news is proclaimed to the poor...” (Mt 11:4-6).

Because I long to change hate into love, sadness into joy, anguish and despair into optimism and hope, sickness and death into life and resurrection. Because I am eager to see light dawn on gloomy faces, and into so many mournful hearts that lie in the shadow of death. Because I want to give direction and meaning to so many paralysed lives, lives that are bored and lethargic, with doubts and suspicions, empty and broken by disabling complexes.

Because I see the urgent need for the Gospel to reach to the ends of the earth; to break the chains of those enslaved, crushed and oppressed by lack of culture, faith, even food and shelter. I want to inject with my own blood those who, in this delirium, renounce life and bury themselves alive.

And shout to them all with the powerful voice of the Gospel “Get up and live!” I feel a passion to give the Gospel, alive and raw, to restless and rebellious young people who, dissatisfied and unconforming, protest against everything. I want to give them the sword of the Truth as their defence and armour.


And to those of them, who renounce on life I want to shout with the powerful voice of the Gospel “Young person, get up!”

A beautiful landscape is ready to be born, horizons radiant with light and hope, a new heaven and a new earth,
when the Good News reaches this youth and informs their lives.

I sincerely believe that it is not a fantasy nor a distant contemplation seeing the fields ripen for the harvest.
Why evangelise?

Because I long for families to enjoy the warmth of a loving home, instead of the atmosphere almost of a cemetery, without even the embers of a fruitful and creative love, intimacy, affection, care, spontaneity and joy.

I can't stop proclaiming the Good News of liberation in order to save the lives of millions of children whose lives I see broken and disintegrated as soon as they open their eyes to the light or even in the very womb of their mothers.
I am compelled to announce the Good News of the Kingdom of God,
Kingdom of peace and justice, Kingdom of life and love, to stop the relentless war between nations and races, the painful conflicts between children and parents. Then, their children would be like “new olive shoots around their table” (Ps 128:3), and their hearts would “overflow with more joy than for abundant corn and new wine” (Ps 4:8).
I feel the need to give my life and pour out my blood for all people equally, regardless of sex, race and social condition.

Jesus, only your Gospel possesses the strength and power necessary to transform the misery that today corrupts these environments into the energy which generates abundant life. I know that with the Gospel the light of day will penetrate many homes which were in darkness.


That's why I can say, without any fear of being pretentious
or of it being an abstract or unreasonable theory, that evangelising is for me a duty and a right, a joy and a complete and now irreversible dedication, as impossible for me to leave, as it would be for me to renounce living and renounce the fact that my brothers and sisters may have life and have it to the full.

Accompany me, Mary, with your most tender, motherly love, so that my consecration to the living Word of God and my preaching of it may be a continual propagation of God’s Life for all generations.

Amen
by Fr. Jaime Bonet, founder of Verbum Dei Missionary Fraternity




venerdì 5 marzo 2010

Lavorare per il Bene

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
Mt 20, 1-16

È il padrone a uscire nella vigna e a cercarli, dá loro un lavoro e una ricompensa; alla fine della giornata dispone del suo come vuole, ma i primi si lamentano, implicitamente affermando:"Siamo piú fessi degli altri noi? Potevamo stare anche noi con le mani in mano!", e osservano con particolare risentimento ció che hanno subito per servire il Signore.
Anche qui, come nel figlio maggiore della parabola del padre misericordioso, si tratta di gerarchie umane, di voler di più, di voler essere più bravi degli altri. La conquista del paradiso a costo del sacrificio! Una cosa che molto ha di umano e poco di divino.
Non vedono, cioé, che loro hanno beneficiato di una giornata produttiva - Gv 15,5 Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla - ed é lí il surplus della ricompensa. Nella mia limitata esperienza, ho avuto un periodo, dopo la laurea, nel quale non facevo niente se non mandare curricula rigorosamente durante le ore notturne. È stato brutto stare senza far nulla, sentivo l'inutilitá schiacciarmi minuto per minuto, e non é un caso che fossi sempre fuori e mi rintanassi nelle ore notturne per le mie attivitá. Non é certo un grande spasso, quello degli operai ritardatari! Noi abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di avere il Signore vicino, a portata di mano. Così era in particolare per gli israeliti: non bisogna dimenticare che Gesù parla al popolo eletto, che si considerava superiore a quello dei Gentili. Sono gli israeliti quelli che lavorano dalla prima ora. Ma Gesù viene per estendere l'annuncio anche al resto del mondo. E chi Lo ascolterà sarà salvato nè più nè meno degli ebrei. Mi anche colpito questa strana frase: "Sei invidioso [il tuo occhio é cattivo] perché sono buono?" Che vorrebbe dire? Sembra che l'operaio invidi il padrone perché egli non é buono altrettanto. Ma davvero la gente desidera essere buona e invidia coloro che sono buoni? Questi operai pensano che il Signore non giudichi rettamente. Il loro sentimento umano di giustizia è offeso, perché chi dà di più deve avere di più, nel loro sistema. Proprio come il figlio maggiore: una giustizia fatta a scale, in cui si vince e si perde. La giustizia che noi applichiamo alla competizione per i posti di lavoro. Ma la giustizia divina è davvero simile a questa nostra giustizia? Prima di cercare la risposta, osserviamo che nei versetti seguenti del brano di Matteo, Gesù puntualizza che è necessario servirsi gli uni gli altri; prendiamo questi diversi elementi e indaghiamo un po'!

Di' loro: Com'è vero ch'io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o Israeliti? Figlio dell'uomo, di' ancora ai figli del tuo popolo: La giustizia del giusto non lo salva se pecca, e l'empio non cade per la sua iniquità se desiste dall'iniquità, come il giusto non potrà vivere per la sua giustizia se pecca.
Ez 33, 11s.

Qui Dio contraddice non una, ma due volte la giustizia umana!
Voi che ne dite? Chiamate l'imbianchino a casa, quello viene alle 8 del mattino. Alle 12 ha fatto solo una parete, e quando se ne va ha finito una stanza, ma voi volevate tutta la casa! Che fate? Ne chiamate un altro! Quello non è buono!
Quello del giorno dopo viene alle 8, finisce tutto il lavoro alle 14 e poi si mette a bere e ruttare. Che ne pensate? Penserete:"Non è un gentiluomo, ma il suo mestiere lo sa fare!"
Ma il Signore ragiona diversamente: il Signore si accontenta che il primo operaio almeno a un certo punto si convinca a lavorare, e del risultato non gli importa; il secondo operaio invece lo rimprovera perché ha smesso di lavorare.
Perché al Signore non importa il prodotto finale della nostra vita, come se noi dovessimo fare a lui un servizio: il Signore non ricava nulla dal nostro fare il bene!
Ma insomma, perché il buon lavoratore deve essere penalizzato? Cioè, se io vivo abbastanza bene, alla fine vado in paradiso, no?


Se io dico al giusto: Vivrai, ed egli, confidando sulla sua giustizia commette l'iniquità, nessuna delle sue azioni buone sarà più ricordata e morirà nella malvagità che egli ha commesso. Se dico all'empio: Morirai, ed egli desiste dalla sua iniquità e compie ciò che è retto e giusto, rende il pegno, restituisce ciò che ha rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e non morirà; nessuno dei peccati che ha commessi sarà più ricordato: egli ha praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà. Eppure, i figli del tuo popolo vanno dicendo: Il modo di agire del Signore non è retto. È invece il loro modo di agire che non è retto!
Ez 33, 13-17

Visto? Già al tempo di Ezechiele emergeva questa differenza tra la giustizia di Dio e quella umana. L'argomento è cristallino: quelli accusano me, dice il Signore, quando il problema stesso si pone solo per il fatto che il giusto a un certo punto debba smettere e cominciare a fare il male.

Questo modo di ragionare del Signore è più simile a quello di un insegnante.
Se assegniamo un esercizio a un ragazzo, non è che a noi cambia niente averlo risolto oppure no. L'esercizio serve a lui per imparare. Che lo risolva in un quarto d'ora o in due ore, a noi importa solo che alla fine abbia capito come si svolge.
Perché a noi sta a cuore la formazione del ragazzo, non una produttività dell'esercizio.
A Dio importa che noi impariamo ad amare. Non è che siccome io mia moglie l'ho trattata bene fino a ieri oggi la prendo a schiaffi! Il risultato che Dio vuol ottenere somiglia a queste due cose, che in ultimo coincidono: l'amore e la vita. Mica per aver mangiato a sufficienza in passato oggi smettiamo di mangiare. Bisogna alimentarla la vita, pure quella eterna!


Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
Mt 5, 20-24

Ecco di nuovo il discorso giustizia umana/divina. Gesù aggiunge un fatto: bisogna andar dietro al fratello, dargli occasione di diventare giusto. Anche qui Gesù completa la predicazione di Ezechiele:


Se io dico all'empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo.

Ez 33, 8s

Caino diceva di non essere il custode di suo fratello, è invece è proprio così! È bello che il Signore abbia detto: "se tuo fratello ha qualcosa contro di te". Non perchè noi abbiamo qualcosa contro il fratello. Se un altro ce l'ha con noi, siamo noi a doverlo cercare. Perché noi VOGLIAMO IL BENE!

Signore mio,
quest'oggi mi sono lasciato sorprendere dalla tua parola. Avevo iniziato a pregare con diffidenza, non che mi andasse tanto. Ma quanta è bella la tua Parola! È una fonte di gioia continua, senza posa.
Signore, quest'oggi ho scoperto che tu non vai in cerca di un risultato, come se noi dovessimo compiere un lavoro per te, in base al quale ci premi. È diverso da quanto accade per gli articoli scientifici. Cioè non è che noi facciamo un servizio a te a fare il bene: facciamo un servizio a noi. Questo servizio, fatto per te, ti mette in luce, questo sì, dà gloria al tuo nome. Ma non è per un risultato. Non c'è una soglia, un "abbastanza" da raggiungere: conta la ricerca!
Ma questo Signore, è proprio quello che io vorrei dal mio lavoro: farlo per me, per il piacere della ricerca, senza la pressione del produrre: ma allora tu mi vuoi felice per davvero! Quanta commozione ho provato nell'udire: "ma perchè vuoi morire, Isarele"? Ma insomma, perché non vogliamo fare il bene? Ma in fondo che ci costa? Non é per noi un guadagno, fare il bene? E non lo è per ciascuno? Perciò dobbiamo pure annunciarlo!
Signore, sono stravolto da questa scoperta. Perché é una cosa che non si ferma mai, é il respiro dell'infinito! Ma veramente attendo la tua parola come le sentinelle l'aurora! Cosa mi dirai domani? Come ancora cambierai la mia vita? E perché mi decido sempre tardi a prestarti orecchio? Ma in te, Signore, è la misericordia. Redimi la mia vita, oggi, nel presente, prepara la mia ricerca di domani. Quanto mi appassiona la tua Parola, Signore!
Ti ringrazio tanto per aver colpito la mia aridità con questo zampillo d'acqua pulita! Sei troppo bello!
Ti rivolgo le parole di questo bel salmo:

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono:
e avremo il tuo timore.
Io spero nel Signore,
l'anima mia spera nella sua parola.
L'anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l'aurora.
Israele attenda il Signore,
perché presso il Signore è la misericordia
e grande presso di lui la redenzione.
Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.


Sal 129


venerdì 26 febbraio 2010

Il sacrificio

Un uomo aveva due figli. (Lc 15, 11ss.)

La parabola del figliol prodigo, oggi diffusa con il nome più appropriato di "parabola del Padre misericordioso". Come si può non amarla?
La parabola descrive due atteggiamenti umani e la reazione di Dio a questi. Mettiamoci un po' nei panni di questi personaggi.

Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta.

Il teologo Kenneth Bayley ha condotto per 15 anni un'indagine nell'area mediterranea, includendo la Turchia, il Marocco etc, e domandando a gente di ogni ceto cosa significasse una simile richiesta. Significa che il figlio desidera la morte del padre; ma anche senza tanto livore, il figlio desidera indipendenza dal padre. Per lui questo padre non ha importanza: quello che conta è la grana, per il resto può far senza. Cos'è questo patrimonio che ha Dio, e del quale vogliamo avere la nostra parte?

E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.

Di nuovo è la necessità materiale a spingere il figlio minore a pensare al padre. La distanza che ha creato lo fa sentire indegno di essere considerato suo figlio: insomma, egli si rende conto di essere finito nel fango, se ne accorge. Così noi quando siamo nel fango ce ne accorgiamo, e in fondo disperiamo di aver a che fare di nuovo con Dio: pensiamo che ormai è passata, che i tempi in cui pregavamo non torneranno più. È una questione d'amore. Temiamo il rifiuto e non cerchiamo nemmeno più quel vecchio amico che non sentiamo da tanto.

Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

Pensate un po' Gesù che immagine sceglie! Un padre scomposto, affettuoso, che non ripaga il figlio secondo le azioni di lui, ma secondo l'amore che prova per lui! Pensateci. Se il tuo dipendente si fa i fatti suoi magari lo rimproveri e lo licenzi; il padre invece non vede l'ora che il figlio ritorni!

Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.

Quello che mi piace assai delle storie di Gesù è che sono umane! Sembra di sentire un fatto raccontato da mia sorella! Adesso pensate un attimo: il padre è contento, si fa festa; ma il figlio maggiore non condivide la gioia del padre, si arrabbia. Cominciamo già a sospettare che non sia unito davvero a lui: vivono insieme ma non si capiscono.

Il padre allora uscì a pregarlo. (sic!) Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.

Il figlio maggiore non ragiona così male. Quel figlio non merita alcuna festa. La meriterebbe lui, che si è sacrificato! Ma il Dono di Dio è tale perché non si merita: Se tu conoscessi il Dono di Dio...
Ma allora a che serve comportarsi bene? A conquistarsi il paradiso, no?

No.

Il paradiso non si conquista, non si scala. Lo si vive nel presente, lo si eredita amando. Ama, ed erediterai il paradiso. Il figlio maggiore non ama suo fratello, perché non gli perdona il tradimento; e non ama il padre, perché non gioisce con lui. Il figlio maggiore, come il minore, pensa: io lavoro e lavoro, e alla fine, quando mio padre schiatterà, erediterò la sua fortuna.
Pazzesco, no? Anche a questo figlio non importa del padre! Gli importa del suo patrimonio: uguale a quell'altro!
C'è da osservare che in questo tipo di parabole Gesù si riferisce sempre all'apertura della rivelazione ai gentili. Il figlio maggiore rappresenta il popolo dei giudei, e in particolare il fariseo. Ricorda infatti quel fariseo che si paragona al pubblicano, mettendo in evidenza i peccati di quello. Ma è proprio del demonio accusare i figli di Dio!
Chi si farà accusatore contro gli eletti di Dio? Guardiamoci dal puntare il dito contro gli altri! Lasciamolo fare al Diavolo, che lo fa di mestiere.

Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;

Questa è la Rivelazione: tutto ciò che è mio è tuo. L'eredità del padre è già nelle mani del figlio maggiore! Il capretto poteva prenderlo da sè e gioirne, perchè la festa della vita è vivere in comunione col padre! Non qualcosa di cui possiamo impossessarci indipendentemente da Lui, ma il fatto stesso di vivere amando, questa è la salvezza. Il figlio se ne è privato da sè, non il padre glielo ha impedito.

ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Ed ecco di che si tratta: è la vita quel patrimonio di Dio. Il peccato sta nel volerlo per sè, e allora si perde la Vita, si disperde. Il Dono di Dio è la Vita Eterna. Il figlio minore vorrebbe vivere la sua vita senza significato, ma una vita così è un porcile. Il figlio maggiore la vorrebbe anche lui tutta per sè, e per conquistarla si sacrifica. Ma questo sacrificio non è fatto per amore, e non vale nulla così.
Questa è l'essenza del peccato:

Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto!
Gn 3,1-4

Il serpente dipinge il divieto di Dio come una censura gravosa insopportabile; ma invece il giogo è leggero. Adamo ed Eva però desiderano per sè tutto, e così perdono la vita eterna.
Ma allora a che serve il sacrificio del fratello maggiore? A che serve il digiuno, la penitenza?

Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?».
Is 58, 2ss.

Qui Dio parla al popolo eletto, i giudei, non agli infedeli. Parla a chi lo cerca, a noi insomma.

Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?

Capito? Il digiuno non ha valore di per sè, rinunciare non serve se non per amore! Solo per amore! Allora il digiuno si trasforma in sacrificio, cioè sacrum facere. L'Amore è sacro.

Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.

La tua ferita si rimarginerà presto! Tanti cristiani hanno una vita arida, non hanno nulla di che lamentarsi, ma ancora hanno sete di Dio, ancora sono feriti, ancora soffrono. AMATE! Dice il Signore. Al Signore non importa di vederci mortificati, gli importa invece che sappiamo rinunciare al bene nostro per gli altri. È semplice, no? Come una madre che per allattare il bambino di alza nella notte. Questo è l'amore. Non serve studiare per capirlo.

Il Signore tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e viva.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica.
Dt 30,6.11-14

Questo passo lo commenta S. Paolo stesso:

Mosè infatti descrive la giustizia che viene dalla legge così: L'uomo che la pratica vivrà per essa. Invece la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo significa farne discendere Cristo; oppure: Chi discenderà nell'abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti. Che dice dunque? Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?
Rm 10, 5-11.14-15

Signore, nessuno di noi vorrebbe essere egoista. Abbiamo solo paura, paura di buttarci ed amare con tutto il cuore. Però tu ci capisci, tu sai che reagiamo così perché siamo stati feriti. Non ci piace soffrire, Signore, non piaceva neanche a te nel Getsemani. In fondo, Signore, è perché siamo limitati. Siamo piccoli e poveri, Padre. Abbi misericordia, tu conosci la nostra debolezza! Tu sai quanto è dura aver fede. I nostri occhi sono inondati dalla tua creazione, è difficile prestar fede a ciò che non vediamo.
Perché poi hai scelto di redimere il mondo nel sacrificio? Non c'era un'altra strada?
Ma tu puoi darci questa forza, Signore. Per questo lo Spirito si chiama "Il Consolatore", perché conosci la nostra afflizione. Mandaci questo Consolatore, Padre. Allora potremo godere anche nella tribolazione.
E questa è la tua volontà, Padre, in cielo come in terra. Sia santificato il tuo nome, Signore, nella nostra vita, attravero l'amore, il sacrificio e l'annuncio.
Amen

mercoledì 17 febbraio 2010

Quaresima


In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Lc 4,1-13


Chi glielo fa fare a Gesù, di andare nel deserto, tra le fiere, quaranta giorni, senza mangiare??
Non ci va da sè, lo Spirito lo sospinge. E perchè proprio nel deserto? Perchè la voce di Dio è come il mormorìo di un vento leggero, e ascoltarla richiede impegno.
Ora, Gesù veniva da trent'anni di vita da falegname. Perchè d'un tratto lo Spirito lo chiama? Cos'ha da dirgli? Leggendo poche righe più sotto, abbiamo la conseguenza di quel ritiro spirituale: Gesù viaggia per la Galilea e predica la conversione, l'arrivo del Regno di Dio. In altre parole nel suo "ritiro" il Padre gli ha annunciato il progetto che aveva per lui. Tante volte Gesù dice: "ciò che il Padre mi ha detto", ebbene questa era una delle occasioni in cui il Padre gli ha chiesto di "lavorare nella sua vigna".
Non deve essere stato facile per Gesù, quando il Padre gli ha detto, in preghiera, che era necessario che egli si esponesse predicando, che si assoggettasse alla persecuzione degli uomini, che terminerà con la crocifissione. Ha avuto paura. Potremmo immaginare Satana con gli zoccoli da caprone, le corna e lo zolfo, che si reca da Gesù e lo scarrozza da un pinnacolo all'altro. Ma noi sappiamo cosa Gesù ha provato senza bisogno di effetti speciali: ha avuto paura. È stato tentato di dire che era impossibile per lui - la tentazione del pane, il limite materiale; è stato tentato dal pensare che essere figlio di Dio voleva dire essere una sorta di superman, che con quei poteri poteva fare di testa sua - la tentazione del pinnacolo; gli sono passate davanti le mille altre cose che avrebbe potuto fare della sua vita, piuttosto che andare a morire per persone peggiori di lui - le ricchezze del mondo. Sono cose che fanno parte della vita spirituale di ciascuno. A queste Gesù ha risposto con Castità, Obbedienza e Povertà, sempre tramite la Parola di Dio.

Che se ne fa Dio, che è Amore, della nostra astinenza dalle carni e dei nostri digiuni? Perchè la Chiesa ci chiede di vivere la Quaresima?
Me lo rivelò un caro amico, in una preziosa predicazione di cui mi è rimasta questa nota: "Quando l'uomo chiede è per ricevere, quando Dio chiede è per dare."
Avete presente quel riguardo che abbiamo verso le persone che amiamo, di ricordare i loro compleanni, di comprare un regalo per l'anniversario, etc. etc.? I "fioretti" sono gesti di devozione verso Dio, la cui mancanza non fa soffrire Lui, ma toglie a noi l'occasione di ricordarci di Dio e di dialogare con Lui.
Senza dubbio la parola d'ordine della Quaresima è l'ascolto, il dialogo con Dio, e il numero quaranta (da cui il nome) accompagna il diluvio, l'Esodo, la fuga di Elia, tutti momenti di conversione, nei quali Dio si fa presente per riscattare il suo popolo dal peccato.

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore.
Dt 6,4-6

L'invito di Dio per la quaresima in particolare, e per ogni giorno della nostra vita in generale, è dunque: "Ascolta!!".

«Su, venite e discutiamo» dice il Signore. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana.»
Is 1,18
In passato ho sofferto molto la lontananza da Dio. Quando ho interrotto la preghiera e la predicazione, questa era diventata una cosa mia, non apparteneva più interamente a Dio. Si trattava di mettermi a pregare e produrre lo spunto di preghiera. L'Ascolto si era svuotato, perchè mancava il Silenzio, quello stesso Silenzio che Gesù ha cercato nel deserto.
Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?».
1Re 19,11-13

Mi piace molto quest'immagine, perchè descrive bene quel che si prova quando si cerca Dio. "Mormorìo di un vento leggero."

Queste considerazioni le ho fatte l'anno scorso, quando ho avuto la possibilità, perchè me lo ha chiesto il parroco, di dare ancora la Parola.
L'incontro in sè non è stato entusiasmante. Era la prima volta che parlavo davanti a persone che non conoscevo, ero molto emozionato, parlavo troppo in fretta.
Ma pur con le numerose le imperfezioni, ho provato in quel momento un grande senso di libertà perché quello che stavo facendo, e che non mi piaceva, lo facevo per Dio, e quello che cercavo di trasmettere era la Sua Parola, non la mia. L'obbiettivo da raggiungere era che ciascuno pregasse tra sè, e non che si riflettesse dottamente. In generale l'aridità spirituale provata in passato mi ha portato ad amare queste imperfezioni. Ci vedo il vento leggero, lontano dal chiasso dell'ambizione e della superbia. Ed è bello fare qualcosa senza averne la ricompensa della soddisfazione personale.

Signore, rileggendo queste note mi accorgo di quello che allora mi hai dato, che in parte è entrato nel tessuto della mia preghiera, e ne sono lieto. Mi accorgo pure che non tutto è entrato a far parte della mia vita, e tu mi dici: su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino. Per aver ricevuto la tua Parola, Signore ti ringrazio, e su di essa confido: sono con voi tutti i giorni. Vorrei che questo mormorìo intervenisse nelle mie scelte, vorrei che fossero fatte attraverso di Te e per Te, e allora sono certo che non me ne pentirei. Non è più dolce soffrire per amore che godere nella solitudine? Mi piacerebbe poterti avvicinare tutto in una volta, senza dover aspettare, senza dover crescere, senza dover ancora cadere.
Ma se questa è invece la tua volontà, sia fatta la tua, non la mia.

domenica 7 febbraio 2010

Cristo Re

Io santificherò il mio gran nome che è stato profanato fra le nazioni, in mezzo alle quali voi l'avete profanato; e le nazioni conosceranno che io sono il SIGNORE", dice il Signore, DIO, "quando io mi santificherò in voi, sotto i loro occhi. Io vi farò uscire dalle nazioni, vi radunerò da tutti i paesi, e vi ricondurrò nel vostro paese; vi aspergerò d'acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio Spirito e farò in modo che camminerete secondo le mie leggi, e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni. Abiterete nel paese che io diedi ai vostri padri, sarete il mio popolo, e io sarò il vostro Dio.
Ez 36,23-28

Questo post ho cominciato a prepararlo il 14 Ottobre. Ho pensato di postarlo il 22 Novembre, era il giorno di Cristo Re. Quel giorno ricorreva per me il settimo anniversario della cresima, sapete, la Confermazione.
Perchè a due mesi dalla mia conversione, questa si è tradotta per me in sacramento, quel sacramento in cui uno dice:"Eccomi, Signore! Abbraccio la vita che tu mi metti davanti, con questa fede, in questa chiesa, sono il tuo soldato". E qui ho cominciato a pregarci su, a meditare, e mi sono fermato. Perchè questo passo di Ezechiele io lo leggevo al futuro, ma vedete, questo è il passato, questo è già successo.

La promessa di questo passo Dio l'ha mantenuta. A livello storico, perché Gesù è venuto sulla terra, e tutto quanto detto è stato fatto. Il Signore si è santificato in noi, nell'umanità, nella santità di Cristo. Gli apostoli hanno radunato gente da tutti i paesi, perché tutti diventassimo cittadini del cielo. Dio ci ha dato un cuore nuovo e il suo Spirito, dopo la morte di Cristo; eravamo duri di cuore e siamo stati cambiati.
Io l'ho vissuto anche a livello personale, io l'ho incontrato Cristo, ho avuto un cuore nuovo, sono parte del popolo di Dio. Eppure l'attesa non si estingue, e sempre sento quel che mi manca, la mia distanza da Dio. È ingiusto, però, credere che la salvezza arriverà domani, tutta insieme. La salvezza, in questi sette anni, Dio me l'ha data poco a poco, e il molto che ancora mi manca me lo dà giorno per giorno. I nostri errori, i nostri limiti, sono tali oggi, e ci disgustano, ma sono un passo di un lungo cammino. Quello che oggi sembra un male abietto é uno stadio incompleto del bene. Quando i neonati gattonano non sono impediti. Stanno solo imparando.
Stiamo solo imparando a fare il Bene, ma il Bene c'è, lì sotto, dentro di noi. Bisogna che continuiamo a imparare.
Nella festa di Cristo Re che si avvicinava, mi chiedevo in cosa questo Regno consista, e in cosa credo, e perchè ci credo, e cosa mi ha convinto, se ne sono ancora convinto. Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni (1 Pt 3, 15).

Ho cercato allora nella Parola di Dio, ed ecco il vangelo del giorno di Cristo Re:

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Gv 18, 33b-37

"Il mio regno non è di questo mondo". Queste parole mi hanno tenuto sospeso. Che differenza fa Cristo? Per quale motivo avevo scelto di servire questo re?

Guardate, Cristo si è comportato in modo peculiare. Quando lo arrestano, non fugge, e nessuno combatte per lui; avendo un grande messaggio da dare, non lo ha scritto perché potesse ispirare le generazioni future, ma lo ha affidato a un gruppo di pescatori, verbalmente, vivendoci accanto per tre anni e parlando con loro. Altri capi e innovatori religiosi, o saggi, si sono lasciati proteggere da zelanti politici o da gruppi di fedeli. Penso ad esempio a Lutero, a Maometto, a tanti papi. Gesù no, va a morire. Di una morte umiliante, che per un giudeo era il segno chiaro:"Questo qui non è stato accettato dal Sinedrio, quindi era un bestemmiatore."
Ma fin qui ci arrivava anche il buon Socrate.
Gesù è ancora più strano. Avendo capito molte cose, poteva tirar fuori una sua idea, farne una teoria, come il marxismo o la maieutica. Gesù, invece, insiste per scomparire: afferma sempre che tutto quanto dice non è venuto in testa a lui, ma glielo ha detto il Padre.
Io ho letto la biografia di Terzani, e devo dire, un uomo saggio. Pur quest'uomo saggio, giunto alla fine della sua vita, chiama il figlio e gli racconta le sue memorie. Terzani non si lascia disperdere così, nella storia. Pur distaccato dalla vita, non si distacca dal dire la sua, dall'esprimere quella sua vita in pagine che sono in qualche modo garanzia di immortalità. Gesù non fa preparativi di sorta, il tutto si limita a una preghiera a cena.
Di solito quando uno è re detta le regole. Gesù no, lui rispetta le regole degli altri. Cavolo, il figlio di Dio poteva pure dire di fare una cerimonia in questo modo anzichè in un altro. Lui la lascia agli uomini, la liturgia. Quante volte nella storia dell'uomo un leader cambia le regole? Pensate alla rivoluzione francese. Gesù invece obbedisce alle regole di Mosè, e pure a quelle di Cesare, e anzi le fa diventare più esigenti. Robespierre arriva e dice: via il re Luigi, a morte, non c'é bisogno. Gesù arriva e dice, non solo non dovete tradire vostra moglie, come sta scritto, ma non dovete neppure pensarci a tradirla. La dovete amare, vostra moglie. Che non è mica più facile. Tradire è un fatto, anzi non-tradire è un non-fare; ma amare, questa è una cosa che si gioca senza testimoni, senza prove da superare, è un impegno che non finisce più.
Quando uno è re mangia di più degli altri e gli toccano gli onori. Gesù digiunava e lavava i piedi ai discepoli.
Quando uno è re, minimo minimo deve stendersi a dirimere le questioni di legge (era così specialmente tra i giudei, i quali chiedevano udienza presso il re perché questi giudicasse le cause). Quando a Gesù portano l'adultera, egli non la giudica. Tutti sanno che l'adultera non avrebbe dovuto tradire il marito. Lo sanno i giudei che la vogliono lapidare, lo sa Gesù e lo sa pure lei. Lui le dice invece: va' e non peccare più (Gv 8,11). Qua c'è da pensarci un attimo. Non è che Gesù fosse meno ebreo degli altri. Naturalmente da ebreo gli viene presentata la peccatrice, egli può spontaneamente pensare:"Troia. Lapidiamola." No, invece. Gesù è venuto a salvarla la gente, non a condannarla.
Se tu sei re e uno ti attacca, ti toglie dal trono e ti mette in ridicolo, come minimo gli scagli una maledizione. Gesù invece muore pregando perché chi l'ha messo in croce sia perdonato.

Ma dove lo trovo un altro così? Seriamente. Mettiamoci a ripassare la lista dei rivoluzionari, degli eroi, dei profeti, e vediamo. Io non l'ho trovato. Delle persone hanno cercato di fare un po' come lui. S. Francesco, S. Agostino, S. Bernardo... Ma è l'originale, Gesù, che mi lascia a bocca aperta.

Prima di convertirmi non era certo mio uso inchinarmi davanti alla croce. Nel mese in cui poi mi convertii frequentavo un oratorio dell'Opus Dei, in una residenza universitaria dove andavo a studiare. Avevano molti libri e una bella cappellina. Ricordo che una volta entrai nell'oratorio, un po' curioso, un po' con vergogna, insomma, io ero un giovane ambizioso intellettuale ateo :D Sgattaiolai dentro infilandomi subito tra le panche, senza arrivare di fronte all'altare, là dove il buon cristiano si genuflette. Sedetti, e poi pensai a come ero entrato. Un po' come un imbucato a una festa, che non vuol incontrare il padrone di casa. Realizzai allora quanto ero attaccato al mio orgoglio di guardare Dio da pari a pari, perché io ero ateo, io ero un uomo libero, e quella... era una statua. Lì pregai per la prima volta. Mi sentivo così schiavo, e avrei voluto essere così libero. Mi sentivo incatenato a terra, e volevo volare.
Ora, che libertà è giurare fedeltà a un re? Non è che sia proprio libertà. Ma io avevo incontrato delle suore, e avevo visto come loro vivevano questo cristianesimo, questo amore. Caspita, era diverso dal resto del mondo. Il mondo che conoscevo, che potevo prevedere, il mondo che potevo tenere in tasca. Con i mezzi che fin da piccoli impariamo a conoscere, le relazioni interpersonali, la cultura, la filosofia, la politica. Con tutta questa ricchezza di mezzi, l'umanità non cambiava. Non cambiava neppure gli individui; ma queste suore, queste possedevano l'afflato di originalità, di stranezza, che era caratteristico di Cristo.

Allora, nel vederlo anche realizzato, ci ho creduto, alle parole di quest'uomo, che ho trovato scritte dai suoi seguaci. Chiaro che a me piace pensare di essere libero, indipendente, grande e potente. Chiaro che mi piace l'idea di diventare professore un giorno. Naturalmente sogno di avere un bel lavoro, una bella famiglia, scrivere libri influenti e avere a cena i miei amici. Re di questo mio piccolo mondo.
Ma essere servo di questo re, Gesù, non posso negarlo, mi piace di più.
Le risposte di questo mondo non mi bastano. La politica non è sufficiente. Verrà mai lo stato a dirvi di risparmiare, perché c'è gente più povera di voi che ha bisogno dei vostri soldi più di voi? No, lo stato vi dà gli incentivi per cambiare auto. Come potrebbe fare altrimenti? Col comunismo? Bene, disparità non ce ne sono più, ma sembra che la libertà di pensiero ne risenta un tantino... e allora?

E allora Cristo è l'alternativa. Non è un'idea da argomentare, è una persona, il cui comportamento si capisce solo con l'amore. Cristo ha amato, e anche io voglio amare come lui. Perciò credo a quello che ha detto. Spesso ho dei dubbi sulla mia fede. Ma mi sostiene il fatto che Cristo ha detto che questo Dio c'è, che sono suo figlio, ed è l'unico uomo a cui mi sento davvero di prestare fede. Non perché faceva i miracoli. Perché amava più degli altri, per questo gli credo. Non gli resisto, perchè mi sono proprio innamorato della sua Verità, della sua Vita. È per me una fonte di ispirazione, di crescita e di consolazione. Soffro quando non riesco a comportarmi come Cristo, godo quando riesco ad amare come Egli ha amato, quando mi sento unito a lui.
Studio il suo comportamento con attenzione. E mi consola pensare, quando sbaglio, che almeno ho tentato di amare. Alla fine non ce l'ho fatta, ma quello che a Cristo non piace è che non ci si butti neppure nell'avventura, omettere è il peccato radicale. Dimenticarsi di amare. Ignorare le persone (nel peccato originale, ignorare Dio).

E naturalmente l'Amore è esigente. Non è che posso andare da mia moglie e dirle:"Senti, io ti amo, però insomma sii tollerante, a me le femmine piacciono assai". Cristo è esigente. Non si può stiracchiare la Verità qua e là per farci entrare tutto quello che ci piace. Bisogna cercarla, questa Verità, non inventarsela. Io la cerco nelle parole di Cristo, nel tentativo di vivere come Lui. Oggi porto un frutto magro. Ma a tentoni, col tempo, anche questo neonato imparerà a camminare eretto...


Per questo amore, Signore, per l'occasione di incontrarti, per avermi cercato, ti ringrazio profondamente. Per il cuore nuovo, per i cambiamenti che hai fatto i me, e per quelli che prepari; per l'amore che ho ricevuto dalle persone, per l'amore ricevuto da te, per il calore della tua preghiera; per la sofferenza, in cui mi hai mostrato la strada; per la solitudine in cui hai sussurrato la tua parola; per la compagnia in cui mi hai donato la gioia; per il pane che mi hai dato, per l'intelligenza, per il corpo, per l'occasione che ho avuto di imparare e di amare; per la Speranza nel Tuo esempio, per la Fede di chi ha acceso in me la Fede; per la bellezza del mondo, delle creature, per il mistero che ci circonda, ti ringrazio, Padre, di cuore. E ti prego con fiducia, che tu mi insegni a Obbedire a questo Re, e lasciare che la tua volontà sia fatta davvero nella mia vita.